La solidarietà umana ed il gene egoista (articolo dell'antropologo Chris Knight)

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Pubblichiamo un testo dell’antropologo Chris Knight, “La solidarietà umana ed il gene egoista”[1]. Questo testo, che si basa sulla teoria neo-darwiniana del gene egoista[2] di cui sintetizza le fondamenta, cerca di fare piazza pulita delle affermazioni secondo cui l’uomo sarebbe essenzialmente “un lupo per l’uomo”; da questo punto di vista può costituire un contributo contro l’idea che il comunismo sarebbe incompatibile con la natura umana, in quanto arriva a concludere che la solidarietà sarebbe, contrariamente a ciò che si pensa, proprio inerente alla nostra natura. Comprendere il ruolo della solidarietà nell’evoluzione dell’umanità costituisce un aspetto importante nella prospettiva della costruzione di una società comunista e nella sua possibilità di realizzazione. Questa comprensione non può prescindere da un approccio scientifico e dalla conoscenza degli apporti che la scienza ha dato finora. Per questo, al di là dell’ampiezza degli accordi o dei disaccordi che possono esistere su questa teoria, riteniamo che il testo di C.K. costituisca un contributo importante alla riflessione ed al dibattito che la CCI sta sviluppando su queste tematiche[3] e ai quali invitiamo a partecipare i nostri lettori.

Nel 1844, dopo aver effettuato un viaggio di quattro anni intorno al mondo, Charles Darwin confidò ad un amico intimo di essere giunto ad una conclusione pericolosa. Per sette anni, scrisse, si “era impegnato in un lavoro molto presuntuoso”, addirittura “molto stupido”. Aveva notato che, su ciascuna delle Isole Galapagos, i fringuelli locali mangiavano un cibo leggermente differente, ed i loro stessi becchi presentavano corrispondenti modifiche. In Sud America, aveva esaminato un gran numero di fossili straordinari di animali estinti. Riflettendo sul significato di tutto ciò, si sentì obbligato a cambiare parere sull'origine delle specie. Al suo amico, Darwin scrisse: “Sono quasi convinto, al contrario della mia opinione di partenza, che le specie non sono immutabili, e ciò è come confessare un omicidio”.

In quei tempi, la convinzione della trasmutazione - l'idea che le specie potevano evolversi in altre - era politicamente pericolosa. Nello stesso momento in cui Darwin scriveva al suo amico, degli atei e dei rivoluzionari diffondevano dei giornali economici nelle strade di Londra in cui si facevano portatori delle idee evoluzioniste in opposizione alle dottrine professate dalla Chiesa e dallo Stato.

All’epoca il teorico evoluzionista più conosciuto era Jean Baptiste Lamarck, che era responsabile delle esposizioni di insetti e vermi del Museo di Storia Naturale di Parigi.

Assimilato strettamente all'ateismo, al movimento cartista ed ad altre forme di sovversione ritenute emanazioni della Francia rivoluzionaria, l'evoluzionismo in Gran Bretagna era indicato con il termine di “lamarckismo”. Ogni “lamarckiano” - in altri termini, ogni scienziato che metteva in questione l'immutabilità di origine divina delle specie - rischiava di essere assimilato ai comunisti, ai rivoltosi e rivoluzionari. Preso tra le sue prudenti opinioni politiche liberali e le sue scienze, Darwin fu colto da una tale ansia da rendersi malato, dissimulando e soffocando le sue conclusioni proprio come se avesse segretamente commesso un omicidio.

Il periodo di sollevamenti rivoluzionari culminò con gli avvenimenti del 1848, quando gli operai organizzarono delle insurrezioni e scesero per strada in Gran Bretagna ed in tutta Europa. Con la sconfitta di questi sollevamenti, si instaurò la controrivoluzione. Durante il seguente decennio, la minaccia proveniente dalla sinistra si vanificò. Nel 1858, un altro scienziato - Alfred Wallace – in maniera del tutto indipendente scoprì il principio di evoluzione per selezione naturale; se Darwin non l’avesse pubblicato, Wallace si sarebbe guadagnato tutta la gloria scientifica. Senza il pericolo immediato di rivoluzione, il coraggio di Darwin crebbe ed infine nel 1859 pubblicò L’Origine delle specie.

Nella sua notevole opera, Darwin espose a grandi linee un concetto di evoluzione abbastanza differente da quello di Lamarck. Lamarck aveva spiegato l'evoluzione come la conseguenza degli sforzi costanti di tutti gli animali per l'auto-miglioramento durante la loro esistenza. L’idea più sinistra e più crudele di Darwin fu presa in prestito al reverendo Thomas Malthus, un economista al soldo della Compagnia delle Indie orientali. Malthus non si interessava all'origine delle specie; la sua idea era politica. Le popolazioni umane, affermava, cresceranno sempre più rapidamente dell'offerta di cibo. Lotta e carestia ne risultano inevitabili.

La carità pubblica, diceva Malthus, non può che aggravare il problema: gli aiuti fanno sentire i poveri al sicuro, e ciò li incoraggia a riprodursi. Nutrire più bocche comporta una maggiore povertà e dunque ulteriori richieste - insaziabili - di aiuto sociale. La migliore politica è lasciare i poveri morire.

La genialità di Darwin fu di legare botanica e geologia alla difesa, politicamente motivata, della libera competizione e della "lotta per la sopravvivenza". Darwin vide la moralità del "lasciare-fare" di Malthus operante ovunque in natura. La crescita di popolazione nel mondo animale precedeva sempre l'offerta locale di cibo; da qui l'ineluttabilità della competizione che si conclude con la fame e la morte dei più deboli. Mentre i moralisti ed i sentimentalisti avrebbero cercato di addolcire questa immagine di una Natura crudele e senza cuore, Darwin seguì Malthus nel celebrarla. Come il capitalismo puniva brutalmente i poveri ed i bisognosi, la "selezione naturale" eliminava queste creature meno capaci di cavarsela. Poiché i meno capaci di ogni generazione morivano, la prole dei superstiti era sproporzionatamente più numerosa, trasmettendo dunque a tutte le future generazioni le loro benefiche caratteristiche ereditarie. Carestia e morte, di conseguenza, erano dei fattori positivi, in una dinamica evolutiva che puniva inesorabilmente l'insuccesso ricompensando il successo.

In tal modo, Darwin riuscì a conferire alla teoria evoluzionistica delle implicazioni politiche. Lungi dal servire a giustificare la resistenza allo sfruttamento capitalista o alla disuguaglianza sociale, questa versione maltusiana dell'evoluzionismo fu fatta per servire una funzione politica opposta. Darwin descrisse la natura come un mondo senza morale. Di conseguenza, questo dava una certa giustificazione ad un sistema economico basato su una competizione sfrenata, libero da ogni ingerenza “morale” fuorviante proveniente dalla religione o dallo Stato. Vivente Darwin, le controversie pubbliche maggiori intorno alla sua teoria opposero gli evoluzionisti contro quei filosofi, ecclesiastici ed altri, che temevano che una tale visione potesse condurre al crollo di ogni morale nella società.

Dopo la morte di Darwin nel 1881, molti pensatori influenti tentarono di attenuare la forza del ragionamento apparentemente duro ed amorale di Darwin, cercando dei modi di riconciliare la teoria evoluzionistica con i valori religiosi o umanistici. In Russia, il pensatore anarchico Pierre Kropotkin scrisse L’aiuto reciproco, in cui affermava che la cooperazione, non la competizione, era la legge fondamentale della natura. Una maniera assai diffusa di salvare una dimensione “morale” del ragionamento di Darwin era di suggerire che il motore competitivo del cambiamento evolutivo non opponeva gli individui tra loro ma gruppi. L’espressione “sopravvivenza del più capace” - come si diceva allora - significava la sopravvivenza dei gruppi o delle specie più capaci, gli uni e le altre considerate nella loro totalità, e che implicava una stretta cooperazione in seno ad ogni specie. Secondo questo ragionamento, gli individui erano creati per favorire gli interessi della specie. I membri di qualsiasi specie dovevano cooperare gli uni con gli altri, essendo la loro sopravvivenza individuale dipendente dalla sorte di tutto l’insieme.

Questa idea fu accettata con molta stima perché era completamente in accordo con le tendenze della filosofia morale, inclusa la tendenza, “piccolo borghese” del socialismo e del nazionalismo, all’inizio del secolo. Le nazioni erano associate alle "razze" e comparate alle specie animali. Ogni specie, razza o nazione erano supposte essere impegnate in una competitiva lotta a morte contro le proprie rivali. Quelle i cui membri cooperavano per bisogno collettivo sopravvivevano; quelli i cui membri agivano "egoisticamente" finivano per estinguersi. Quando certi animali o uomini mostravano un comportamento cooperativo, esso era spiegato in termini “morali” in riferimento ai bisogni del gruppo.

In Gran Bretagna, Winston Churchill affermò che gli elementi più poveri della società non dovrebbero essere autorizzati a riprodursi, poiché, nel farlo, non potevano che indebolire la “scorta nazionale”. L'eugenetica si guadagnò un’ampia stima, anche presso un gran numero di persone di sinistra; in Germania, giocò un ruolo chiave nella formazione dell'ideologia nazista. Negli anni 1940, l'etologo pioniere Konrad Lorenz incantò gli ideologi del nazismo affermando che la guerra era naturale e preziosa. La paragonava a un modello generale in cui i maschi dei mammiferi, durante la stagione degli amori, s’impegnano in un feroce combattimento, e alla fine le femmine si accoppiano solamente con i vincitori. Questo, affermò Lorenz, è un sano meccanismo di eliminazione dei deboli che, di conseguenza, preserva e migliora la purezza e il vigore della razza.

La teoria evoluzionistica della “selezione di gruppo” - come è chiamata ora – si guadagnò la sua formulazione più sofisticata ed esplicita nel 1962, quando il naturalista scozzese V. C. Wynne-Edwards pubblicò un libro intitolato Animal Dispersion in Relation to Social Behaviour. Per Wynne-Edwards, che in ciò seguiva Malthus, il problema fondamentale incontrato da ogni gruppo o specie era quello della riproduzione sfrenata. La sovrappopolazione alla fine conduceva alla penuria, inducendo la carestia ad una scala che potrebbe minacciare l’intera popolazione locale. Quale era la soluzione? Secondo Wynne-Edwards, era la specie nel suo insieme che doveva agire. Meccanismi speciali si erano dovuti evolvere per evitare la riproduzione al di là della capacità di carico del suo ambiente naturale. Si aspettava perciò che gli individui frenassero la loro fecondità nell'interesse del gruppo.

Sulla base di questa teoria, Wynne-Edwards cercò di spiegare un certo numero di curiose caratteristiche della vita sociale animale ed umana. In particolare, pretese di spiegare dei comportamenti apparentemente ripugnanti come il cannibalismo, l'infanticidio ed il combattimento o la guerra tra gruppi. In apparenza negative, ad un livello più generale tali pratiche costituirebbero una serie di adattamenti benefici con cui ogni specie si sforzerebbe di limitare la sua popolazione. Molti naturalisti erano rimasti impressionati osservando dei casi di uccelli in grandi colonie distruggere la loro reciproca prole, o di leoni che mordono mortalmente dei leoncini alla loro nascita. Tutto questo, dice Wynne-Edwards, ora poteva essere compreso. Quelli che presentano un tale comportamento non agiscono in modo egoista o antisociale; avvantaggiano la specie contenendo la popolazione. Nell’uomo, le attività violente come la guerra hanno una funzione simile. In un modo o in un altro, i livelli di popolazioni umane devono essere limitati; la guerra, associata ad altre forme di violenza, aiutava a raggiungere l’obiettivo.

Questo genere di pensiero “selezionista di gruppo” restò influente in seno al darwinismo fino agli anni 1960. Ma, esponendo la sua formulazione in termini tanto veementi ed espliciti, Wynne-Edwards involontariamente espose il ragionamento del "vantaggio per la specie" ad un attacco più finemente mirato, che minava l'insieme dell'edificio teorico. Appena gli scienziati cominciarono a riflettere sui pretesi “meccanismi di riduzione di popolazione”, le ragioni per cui non potevano funzionare diventarono chiare su un piano puramente teorico. In che modo un’intera specie poteva mobilitare i suoi membri per un'azione collettiva, reagendo in previsione delle future penurie di cibo? Supponiamo, come esempio, l'esistenza di un gene che susciterebbe o faciliterebbe un comportamento che presenta le due seguenti caratteristiche: (a) porterebbe beneficio alla specie ad una data postuma, ed allo stesso tempo (b) ostacolerebbe al momento il successo riproduttivo del suo possessore. Come un tale gene potrebbe essere trasmesso in un futuro, dove si realizzerebbero i suoi supposti benefici? Parlare di un gene di minor successo riproduttore è semplicemente una contraddizione. Esso non sarebbe trasmesso. I suoi futuri supposti benefici non potrebbero mai realizzarsi. La teoria della "selezione di gruppo" nella sua totalità era semplicemente illogica. Questa comprensione inaugurò una rivoluzione scientifica - uno dei più monumentali sconvolgimenti della storia scientifica recente, con un gran numero di implicazioni per le scienze umane e sociali. Gli stessi Marx ed Engels, se oggi vivessero, si metterebbero alla testa di tali sviluppi.

Quasi tutti gli scienziati evoluzionisti oggi sono d’accordo che la teoria della “selezione di gruppo” di Wynne-Edwards era sbagliata. L'idea che il sesso, la violenza o qualsiasi altra forma di comportamento animale si sia potuto evolvere "per il bene della specie" attualmente è completamente screditata. Gli animali non praticano il sesso "per perpetuare la specie"; lo fanno per una ragione più terra-terra - per perpetuare i propri geni particolari. Nessun gene può essere concepito per minimizzare la propria auto-replica - in un mondo competitivo, sarebbe eliminato velocemente e sarebbe sostituito. Supponiamo che un leone uccida i suoi cuccioli per aiutare a ridurre il livello di popolazione totale. Rispetto agli altri leoni, questo individuo avrebbe un debole successo riproduttore. Indipendentemente da ciò che alla fine capiterebbe al gruppo intero, tutti gli individui di qualsiasi popolazione futura sarebbero esclusivamente i discendenti dei riproduttori più “egoisti” - questi leoni programmati per massimizzare la trasmissione dei loro geni (a spese dei geni rivali) alle generazioni future.

Una volta compreso ciò, gli scienziati furono in grado di mostrare che i leoni che uccidevano i cuccioli non uccidevano in realtà quelli propri, ma quelli generati dai maschi rivali. La stessa cosa si applicava agli altri casi di sedicente "regolazione di popolazione". In ogni caso, poteva essere mostrato che gli animali responsabili agivano "egoisticamente" da un punto di vista genetico, i loro geni servivano a trasmettere quante più copie possibili di loro stessi alle generazioni future, senza preoccuparsi troppo di alcuna conseguenza sul livello della popolazione a lungo termine. Il "valore selettivo" significava la capacità a fare introdurre i suoi geni nel futuro; non poteva essere definito diversamente. Una conseguenza era che le idee eugenetiche come quelle di Winston Churchill non avevano nessun significato darwiniano. Churchill riteneva che i poveri si riproducevano troppo velocemente; essendo “meno capaci”, la loro fertilità avrebbe dovuta essere frenata. Come esempio, supponiamo che i poveri all'epoca di Churchill si riproducevano realmente molto più dei ricchi. Secondo gli standard darwiniani moderni, questo avrebbe reso i poveri “più adatti”, non meno. La stessa cosa quando delle minoranze etniche si riproducono ad un ritmo più elevato di quelle che le stanno intorno. Il “valore selettivo”, come questo termine è compreso dai darwiniani moderni, può essere misurato riferendosi unicamente ai geni - non alle razze o alle specie. Di conseguenza, in avvenire, i politici reazionari, razzisti o altri, dovranno diffondere le loro teorie senza l'aiuto del darwinismo.

Il nuovo darwinismo rende oramai impossibile l'elevazione dell'interesse personale di un individuo a livello di quello della specie. I pensatori “selezionisti di gruppo” con ostinazione avevano vestito di “morale” l'infanticidio, la violenza o l'aggressione, tenuto conto degli interessi superiori “della nazione” o “del gruppo”. I militaristi e gli sterminatori erano stati riconsiderati come custodi di interessi superiori, con le loro idee circa l’uccisione della popolazione eccedentaria o l’eliminazione dei deboli per un benessere superiore. Il darwinismo “gene egoista” mise bruscamente fine a tutto questo. I gruppi o specie animali non potevano ormai più essere paragonati agli Stati-nazione, descritti come insiemi coesi e moralmente regolati. Al posto di ciò, ci si aspettava che gli animali cerchino di ottimizzare il loro valore selettivo, agendo consapevolmente o inconsapevolmente per propagare i loro geni. Ci si aspettava perciò anche che le unità sociali non mostrino solo la cooperazione ma anche il conflitto, opponendo in modo ricorrente le femmine e i maschi, i giovani ed i vecchi, ed anche i bambini ed i loro genitori.

Questa insistenza sulla lotta ed il conflitto fecero convergere il darwinismo ed il marxismo che non ammettono l'armonia o la fraternità ma vedono invece un mondo sociale umano lacerato dai conflitti di classi, di sessi e di altre forme. Là dove l'armonia esiste o è stabilita con successo, questo deve essere spiegato, non ammesso.

Una volta rovesciato il “selezionismo di gruppo”, gli scienziati furono costretti a riosservare la vita, affrontando, chiarendo e spesso risolvendo una serie di enigmi scientifici in esame. Come apparve la vita sulla Terra? Quando e perché il sesso si evolse? Come diventarono così cooperativi gli insetti sociali? Perché, come tutti gli organismi viventi, cadiamo malati ed alla fine moriamo? Da allora, ogni teoria ha dovuto dimostrare la sua coerenza con l’implacabile “egoismo” senza compiacenza dei geni. Il risultato è stato una spettacolare serie di aperture intellettuali, che rappresentano una vera rivoluzione, ancora in corso, nelle scienze della vita. Il libro di Richard Dawkins, il Gene egoista, ha riassunto numerose di queste nuove scoperte quando è stato pubblicato con acclamazioni generali – e con una veemenza equivalente di denunce dalla “sinistra classe media” - nel 1976.

Proprio come Karl Marx e Friedrich Engels si opponevano alle teorie “utopiche” del socialismo, i darwinisti moderni si oppongono vigorosamente a tutte le teorie evoluzionistiche lacrimose ed astratte. Il socialismo “utopico” fallì perché non si confrontò mai con il capitalismo. Non spiegò mai come passare da “A” a “B” - dalla logica competitiva del capitalismo alla sua antitesi socialista o comunista. Al posto di ciò, i sognatori "utopici" non fecero che opporre le loro visioni idealistiche alla dura realtà della vita contemporanea, senza preoccuparsi mai di comprendere il funzionamento del capitalismo. Allo stesso modo, prima della rivoluzione “gene egoista” nelle scienze della vita, i biologi si erano appellati alla “cooperazione” nel mondo animale in quanto principio esplicativo senza avere spiegato mai da dove veniva questo principio. Il grande merito del nuovo darwinismo è stato di non essere “utopico”. Quando si è constatato che gli animali si aiutano o anche rischiano la loro vita uno per l'altro – spesso ciò capita - un tale altruismo piuttosto che essere solo ammesso doveva essere spiegato. Soprattutto, ogni altruismo a livello del comportamento sociale doveva conciliarsi con l’“egoismo” replicativo dei geni di questi animali.

Da questo punto di vista, il nuovo darwinismo potrebbe quasi essere chiamato la “scienza della solidarietà”. L’egoismo è facile da spiegare. La vera sfida è spiegare perché gli animali, spesso, non sono egoisti. È una sfida particolare nel caso degli uomini che - forse più che qualsiasi altro animale - possono lanciarsi in atti di coraggio e di sacrificio personale per il beneficio degli altri. Esistono delle storie, dall'autenticità verificata, che raccontano come dei soldati durante la Prima Guerra mondiale si gettavano su una granata che stava per esplodere, salvando così i loro compagni. Un tale coraggio era stato laboriosamente appreso o inculcato negli uomini, o era stato prodotto da potenti istinti? Così, seguendo la maggior parte dei darwinisti, se supponiamo che le persone hanno in se stessi la capacità di essere naturalmente cooperativi ed anche eroici, nasce allora un paradosso intellettuale. Perché i geni che permettono o rendono possibile l'eroismo - questi coraggiosi istinti che, in tempo di crisi, possono superare le nostre vili ed egoiste pulsioni - non sono stati eliminati durante il tempo evolutivo? L'uomo che muore in combattimento non avrà più bambini. Per contrasto, il vigliacco può lasciare numerosi discendenti. Su questa base, non dovremmo aspettarci che ogni generazione sia meno eroica - più egoista - della precedente?

La teoria utopica della “selezione di gruppo” aveva oscurato questo problema proponendo una risposta fin troppo facile. L'eroismo operava per il bene del gruppo. Il problema era che questo non riusciva a spiegare come un tale coraggio poteva fare parte della natura umana, trasmesso di generazione in generazione. È precisamente questa difficoltà che spinse i nuovi darwinisti a trovare una risposta migliore. Quando la soluzione fu trovata, diventò la pietra angolare della scienza evoluzionistica.

La soluzione all'enigma risiedeva nell'idea di “valore selettivo inclusivo”. Il coraggio in combattimento si basa su degli istinti non radicalmente differenti da quelli che spingono una madre a rischiare difendendo i suoi bambini. È proprio per questo che i suoi geni sono “egoisti” - e malgrado questo “egoismo” - il coraggio di una madre può fare appello a profonde risorse istintive. Infatti, la madre che prende istintivamente dei rischi per i suoi bambini concepisce questi bambini come parte di “sé” potenzialmente immortale. In termini genetici, ciò è realistico perché i suoi bambini condividono i suoi geni. Possiamo capire facilmente perché i geni “egoisti” di una madre possono spingerla a comportarsi in modo disinteressato: questo avviene nell’ interesse proprio dei geni. Una logica simile potrebbe spingere fratelli e sorelle a comportarsi in modo disinteressato gli uni verso gli altri.

Nel lontano passato evolutivo, gli uomini si evolvevano in gruppi di relativa piccola scala basata sulla parentela. Ogni persona con cui lavoravi, o con cui ti eri legato strettamente, aveva una buona probabilità statistica di condividere i tuoi geni. Di fatto, i geni avrebbero detto: “Replicaci assumendo dei rischi per difendere i tuoi fratelli e sorelle”. Noi, umani, siamo concepiti per aiutarci gli uni gli altri - e anche morire gli uni per gli altri - a patto di avere avuto prima una opportunità di formare dei legami. Oggi, anche nelle condizioni in cui abbiamo molto meno probabilità di essere imparentati, questi istinti continuano a spingerci con la stessa forza di una volta. La nozione di “solidarietà fraterna” non è totalmente dipendente da fattori esterni e sociali, come l'educazione o la propaganda. Non ha bisogno di essere inculcata nelle persone contro la loro natura profonda. La solidarietà fa parte di una vecchia tradizione - una strategia evolutiva - che, molto tempo fa, diventò centrale alla stessa natura umana. È un'espressione senza prezzo dell’“egoismo” dei nostri geni.

Chris Knight

 

[1] "Human Solidarity and The Selfish Gene". Abbiamo già pubblicato un altro testo di Chris Knight nella nostra stampa: Marxismo e scienza, https://fr.internationalism.org/node/4850.

[2] La teoria del gene egoista, sebbene combattuta da una minoranza di teorici dell'evoluzione, particolarmente dal defunto Stephen Jay Gould nella Struttura della teoria dell'evoluzione, è difesa dalla maggioranza di essi, principalmente da Richard Dawkins nel Gene egoista e Il fenotipo esteso ed. Oscar Mondadori. Descrivendo i geni come “egoisti”, Dawkins non intende per questo affermare che siano muniti di una volontà o di un'intenzione propria, ma che i loro effetti possono essere descritti come se lo fossero. La sua  tesi è che i geni che si sono imposti nelle popolazioni sono quelli che provocano degli effetti che servono ai loro interessi, e cioè continuare a riprodursi, e non necessariamente agli interessi dell'individuo in sé. Questa visione delle cose spiega, come andiamo a scoprirlo più in là in questo articolo di Chris Knight, l'altruismo a livello degli individui nella natura, in particolare nel cerchio familiare: quando un individuo si sacrifica per proteggere la vita di un membro della sua famiglia, agisce nell'interesse dei suoi propri geni.

[3] Testo di orientamento, 2001: La fiducia e la solidarietà nella lotta del proletariato, https://it.internationalism.org/node/1131; Dibattito interno alla CCI: Marxismo ed etica, https://it.internationalism.org/rint29/etica; Darwin ed il Movimento Operaio, https://it.internationalism.org/node/765; Darwinismo e marxismo (Anton Pannekoek), https://it.internationalism.org/node/919

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