La mobilitazione degli "indignati" in Spagna e le sue ripercussioni nel mondo: un movimento portatore di avvenire

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Il Movimento “15M” in Spagna - il cui nome corrisponde alla data della sua creazione, il 15 maggio - è un avvenimento di grande importanza dalle caratteristiche inedite. In questo articolo vogliamo raccontare gli episodi più significativi e, ogni volta, trarre le lezioni e tracciare le prospettive per il futuro.

Un resoconto di quello che è realmente accaduto è un contributo necessario alla comprensione della dinamica che prende la lotta di classe internazionale verso i movimenti massicci della classe operaia che l'aiuteranno a riprendere fiducia in sé stessa e le darà i mezzi di presentare un'alternativa a questa società moribonda[1].

Il “No Future” del capitalismo, sfondo del Movimento 15M

La parola "crisi" contiene una connotazione drammatica per milioni di persone, colpite da una valanga di miseria che va dal deterioramento crescente delle condizioni di vita, passando per la disoccupazione a durata indeterminata e la precarietà che rendono impossibile la minima stabilità quotidiana, fino alle situazioni più estreme che riportano direttamente alla grande povertà ed alla fame[2].

Ma ciò che è più angoscioso è l'assenza di futuro. Come lo denunciava l'assemblea degli Arrestati di Madrid[3] in un comunicato che, come vediamo, ha rappresentato la  scintilla che ha dato fuoco alle polveri del movimento: “ci troviamo di fronte ad un orizzonte privo della minima speranza e senza un futuro che ci permetta di vivere tranquilli e di poterci dedicare a ciò che ci piace[4]. Quando l'OCSE dichiara che occorreranno 15 anni affinché la Spagna ritrovi il livello di occupazione che aveva nel 2007 - quasi una generazione intera privata di lavoro! -, quando cifre simili possono essere ascoltate negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, possiamo comprendere fino a che punto questa società è gettata in un turbine senza fine di miseria, di disoccupazione e di barbarie.

Il movimento si è, a prima vista, polarizzato contro il sistema politico bipartitico dominante in Spagna (a destra il Partito Popolare ed a sinistra il Partito Socialista Operaio Spagnolo che rappresenta il 86% degli eletti)[5]. Questo fatto ha giocato un certo ruolo, proprio in rapporto a questa assenza di avvenire, poiché in un paese in cui la destra gode della meritata reputazione di essere autoritaria, arrogante ed anti-operaia, ampi settori della popolazione hanno visto con inquietudine come, con gli attacchi governativi portati dai falsi amici - il PSOE -, i nemici dichiarati - il PP - minacciavano di installarsi al potere per lunghi anni, senza alcuna alternativa in seno al gioco elettorale, riflettendo così il blocco generale della società.

Questo sentimento è stato rafforzato dall'atteggiamento dei sindacati che hanno cominciato col convocare uno "sciopero generale" il 29 settembre che è stato solo un atto di smobilitazione, poi nel gennaio 2011 hanno firmato col governo un Patto sociale con il quale si accettava la brutale riforma delle pensioni e chiudeva la porta ad ogni possibilità di mobilitazioni massicce sotto la loro direzione.

A questi fatti si è unito un profondo sentimento di indignazione. Una delle conseguenze della crisi, come è stato detto nell'assemblea di Valenza, è che “i rari che possiedono sono ancora molto più rari e possiedono molto più, mentre il grande numero che possiede poco è molto più numeroso e possieda molto meno”. I capitalisti ed il loro personale politico diventano sempre più arroganti, voraci e corrotti. Non esitano ad accumulare immense ricchezze, mentre intorno a loro spargono miseria e desolazione. Tutto ciò fa comprendere con una certa chiarezza che le classi sociali esistono e che non siamo dei "cittadini uguali".

Fin dalla fine del 2010, di fronte a questa situazione, sono sorti dei collettivi i quali affermavano che bisognava unirsi per strada, agire al di là dei partiti e dei sindacati, organizzarsi in assemblee … La vecchia talpa rievocata da Marx preparava nelle viscere della società una maturazione sotterranea che è esplosa in pieno giorno nel mese di maggio! La mobilitazione di "Giovani Senza Avvenire" ad aprile aveva raggruppato 5 000 giovani a Madrid.

Peraltro, il successo delle manifestazioni dei giovani in Portogallo - Geração a Rasca (generazione alla deriva) - che avevano raggruppato più di 200 000 persone, e l'esempio molto popolare della piazza Tahrir in Egitto hanno agito da potenti stimolatori del movimento.

Le assemblee: un primo sguardo verso l’avvenire

Il 15 maggio, un cartello di più di 100 organizzazioni – denominato Democracia Real Ya (DRY)[6] - ha convocato delle manifestazioni nelle grandi città di provincia “contro i politici”, richiedendo una “vera democrazia”.

Piccoli gruppi di giovani (disoccupati, precari e studenti), in disaccordo col ruolo di valvola di sfogo del malcontento sociale che gli organizzatori volevano fare giocare al movimento, hanno tentato di allestire un accampamento nella piazza centrale a Madrid, a Granada ed in altre città per proseguire col movimento. DRY li ha rinnegato e ha permesso alle truppe poliziesche di effettuare una brutale repressione, perpetrata in particolare nei commissariati. Tuttavia, quelli che ne sono state vittime si sono costituiti in Assemblea degli Arrestati di Madrid e senza perdere molto tempo hanno emanato un comunicato che denunciava con chiarezza i trattamenti degradanti inflitti loro dalla polizia. Ciò ha prodotto una forte impressione ed ha incoraggiato numerosi giovani a raggiungere gli accampamenti.

Martedì 17 maggio, mentre DRY tentava di chiudere gli accampamenti in un ruolo simbolico di protesta, l'enorme massa che affluiva verso quest'ultimi ha imposto la tenuta di assemblee. Mercoledì e giovedì, le assemblee massicce si sono propagate in più di 73 città. Vi si esprimevano riflessioni interessanti, proposte giudiziose, che trattavano di tutti gli aspetti della vita sociale, economica, politica e culturale. Niente di ciò che è umano era estraneo a questa immensa agora improvvisata!

Una manifestante madrilena diceva: “ciò che è bello di queste assemblee è che la parola si libera, le persone si comprendono, si può pensare ad alta voce, migliaia di persone che non si conoscono tra loro possono giungere ad essere in accordo. Non è meraviglioso?”. Le assemblee erano tutto un altro mondo, all'opposto dell'ambiente tetro che regna nei seggi elettorali ed a cento leghe di distanza dall'entusiasmo dei marketing dei periodi elettorali: “Abbracci fraterni, grida di entusiasmo e di estasi, canti di libertà, risa gioiose, allegria e trasporti di gioia: era tutto un concerto che si sentiva in questa folla di migliaia di persone che vanno e vengono da mattino a sera attraverso la città. Regnava un'atmosfera di euforia; si poteva credere quasi che una vita nuova e migliore stava cominciando sulla terra. Spettacolo profondamente commovente ed allo stesso tempo idilliaco e toccante[7]. Migliaia di persone discutevano appassionatamente in un ambiente di profondo rispetto, di ordine ammirevole, di ascolto attento. Erano unite dall'indignazione e dall'inquietudine di fronte al futuro ma, soprattutto, dalla volontà di comprendere le sue cause; da ciò questo sforzo per il dibattito, per l'analisi di una folla di domande, le centinaia di riunioni e le creazioni di biblioteche di strada … Uno sforzo apparentemente senza risultato concreto, ma che ha sconvolto tutti gli spiriti e ha seminato dei semi di coscienza nei campi dell'avvenire.

Soggettivamente, la lotta di classe si basa su due pilastri: da una parte la coscienza, dall'altro, la fiducia e la solidarietà. Su quest’ultimo aspetto, le assemblee sono così state portatrici per l'avvenire: i legami umani che si tessevano, la corrente di empatia che animava le piazze, la solidarietà e l'unità che fiorivano avevano almeno altrettanta importanza rispetto al fatto di prendere delle decisioni o di convergere su una rivendicazione. I politici e la stampa si arrabbiavano, essi che richiedevano, con l'immediatismo e l’utilitarismo caratteristiche dell'ideologia borghese, che il movimento condensasse le sue rivendicazioni in un “protocollo”, ciò che DRY tentava di convertire in “decalogo” raggruppante tutte le misure democratiche ridicole e bolse come le liste dei candidati aperte, le iniziative legislative popolari e la riforma della legge elettorale.

La resistenza accanita contro la quale si sono scontrate queste misure precipitose è venuta ad illustrare in che cosa il movimento esprimeva il divenire della lotta di classe. A Madrid, le persone gridavano: “Non andiamo lentamente, è che andiamo molto lontano!”. In una Lettera aperta alle assemblee, un gruppo di Madrid diceva: Il più difficile è sintetizzare ciò che vogliono le nostre manifestazioni. Siamo convinti che non è un fatto leggero, come vogliono in modo interessato i politici e tutti quelli che vogliono che niente cambi o, per meglio dire, quelli che vogliono cambiare alcuni dettagli affinché tutto resti identico. Non sarà proponendo subito una manciata di rivendicazioni che riusciremo ad esprimere una sintesi della nostra lotta, non è creando un mucchietto di rivendicazioni che la nostra rivolta si esprimerà e si rafforzerà[8].

Lo sforzo per comprendere le cause di una situazione drammatica e di un futuro incerto, e trovare il modo di lottare conseguentemente, ha costituito l'asse delle assemblee. Da cui il loro carattere deliberativo che ha disorientato tutti quelli che speravano in una lotta centrata su delle rivendicazioni precise. Lo sforzo di riflessione su dei temi etici, culturali, artistici e letterari (ci sono stati degli interventi sotto forma di canzoni o di poesie) ha creato il sentimento ingannevole di un movimento piccolo-borghese "di indignati". Dobbiamo qui separare il buono grano dal loglio. Quest’ultimo è certamente presente nella conchiglia democratica e cittadina che ha spesso mascherato queste preoccupazioni. Ma queste ultime sono del buono grano, perché la trasformazione rivoluzionaria del mondo si appoggia, ed allo stesso tempo lo stimola, su un gigantesco cambiamento culturale ed etico; “cambiare il mondo e cambiare la vita trasformando noi stessi”, tale è il motto rivoluzionario che Marx ed Engels formularono nell'Ideologia tedesca più di un secolo e mezzo fa: “... Una trasformazione massiccia degli uomini si rivela necessaria per la creazione in massa di questa coscienza comunista, come anche per ben condurre la stessa; ora, una tale trasformazione non può operarsi che attraverso un movimento pratico, attraverso una rivoluzione; questa rivoluzione non è dunque solamente resa necessaria perché è il solo mezzo per rovesciare la classe dominante, essa lo è ugualmente perché solo una rivoluzione permetterà alla classe che rovescia l'altra di spazzare via tutta la putrefazione del vecchio sistema che dopo gli resta incollata addosso e diventare adatta a fondare la società su delle basi nuove[9].

Le assemblee massicce sono state un primo tentativo di risposta ad un problema generale della società che noi abbiamo messo in evidenza più di 20 anni fa: la decomposizione sociale del capitalismo. Nelle "Tesi sulla decomposizione" che avevamo scritto allora[10], segnaliamo la tendenza alla decomposizione dell'ideologia e delle sovrastrutture della società capitalista e, andando di pari con questa, il degrado crescente delle relazioni sociali che colpisce la borghesia quanto la piccola borghesia. La classe operaia non vi scappa per il fatto, tra altro, che affianca la piccola borghesia. Mettevamo in guardia in questo documento contro gli effetti di questo processo: “1) 'l'azione collettiva, la solidarietà, trovano di fronte ad esse l'atomizzazione, il 'ciascuno per é, 'l'arrangiarsi individuale'; 2) il bisogno di organizzazione si scontra con la  decomposizione sociale, con la destrutturazione dei rapporti che fondano ogni vita in società; 3) la fiducia nell'avvenire e nelle proprie forze sono sabotate continuamente dalla disperazione generale che invade la società, dal nichilismo, dal 'no futuro'; 4) la coscienza, la lucidità, la coerenza e l'unità del pensiero, il gusto per la teoria, devono aprirsi una strada difficile nel mezzo della fuga nelle chimere, la droga, le sette, il misticismo, il rigetto della riflessione, la distruzione del pensiero che caratterizza la nostra epoca”.

Tuttavia, ciò che mostrano le assemblee massicce in Spagna - come quelle che sono apparse durante il movimento degli studenti in Francia nel2006[11] - è che i settori più vulnerabili agli effetti della decomposizione - i giovani, i disoccupati, in particolare per la poca esperienza del lavoro che hanno acquisito - da una parte si sono ritrovati all'avanguardia delle assemblee e dello sforzo di presa di coscienza, di solidarietà e di empatia dall'altra.

Per tutte queste ragioni, le assemblee massicce hanno costituito un primo anticipo di ciò che è davanti a noi. Ciò può sembrare di poco conto a quelli che aspettano che il proletariato, come uno scoppio di tuono a cielo sereno, si manifesta chiaramente e senza mezzi termini come la classe rivoluzionaria della società. Tuttavia, da un punto di vista storico e considerando le difficoltà enormi che incontra per raggiungere questo obiettivo, si tratta in ciò di un buono inizio poiché ha cominciato a preparare rigorosamente il terreno soggettivo.

Paradossalmente, queste caratteristiche sono state anche il tallone d'Achille del movimento "15M" come esso si è espresso in una prima tappa del suo sviluppo. Non essendo sorto con un obiettivo concreto, la stanchezza, la difficoltà per andare al di là delle prime approssimazioni dei gravi problemi che si pongono, l'assenza di condizioni affinché il proletariato entra in lotta dai posti di lavoro, hanno immerso il movimento in una specie di vuoto e di terreno vago che non poteva mantenersi molto tempo in tale stato, e che DRY ha tentato di investire coi suoi obiettivi di "riforma democratica" sedicente "facile" e "realizzabile" ma che non sono che utopici e reazionari.

Le trappole che il movimento ha dovuto affrontare

Per quasi due decenni, il proletariato mondiale ha realizzato una traversata del deserto caratterizzata dall'assenza di lotte massicce e, soprattutto, da una perdita di fiducia in sé stesso ed una perdita della sua identità di classe[12]. Anche se quest’atmosfera è andata progressivamente diluendosi dal 2003, con l'apparizione di lotte significative in un buon numero di paesi e di una nuova generazione di minoranze rivoluzionarie, l'immagine stereotipata di una classe operaia "che non si muove, "completamente assente", ha continuato di dominare.

L'irruzione improvvisa delle grandi masse nell'arena sociale doveva essere ostacolata da questo peso del passato, difficoltà aumentata dalla presenza nel movimento di strati sociali in via di proletarizzazione, più vulnerabili alle trappole democratiche e cittadine. A ciò si è aggiunto il fatto che non essendo il movimento sorto da una lotta contro una misura concreta, ne è risultato un paradosso non nuovo nella storia[13], e cioè che le due grandi classi della società - il proletariato e la borghesia - sono sembrate schivare il corpo a corpo aperto, dando così l'impressione di un movimento pacifico, prendendosi “l'approvazione di tutti”[14].

Ma in realtà, il confronto tra le classi era presente fin dai primi giorni. Il governo PSOE non ha risposto subito con la repressione brutale contro un pugno di giovani? Non è stata la risposta immediata ed appassionata dell'assemblea degli Arrestati di Madrid che ha scatenato il movimento? Non è stata questa denuncia che ha aperto gli occhi ai giovani che, da allora, hanno scandito “la chiamano democrazia ma non lo é!”, parola d’ordine ambigua che è stata trasformata da una minoranza in “la chiamano dittatura ed è proprio così!”?

Per tutti quelli che pensano che la lotta di classe è una successione “di emozioni forti”, l’aspetto “pacifico” che ha rivestito le assemblee li ha spinti a credere che queste non erano niente di più dell'esercizio di un “innocuo diritto costituzionale”, forse anche molti partecipanti credevano che il loro movimento si limitava a ciò.

Tuttavia, le assemblee massicce sulla piazza pubblica, la parola d’ordine “Prendere la piazza!”, esprimono una vera sfida all'ordine democratico. Ciò che determina i rapporti sociali e che santificano le leggi, è che la maggioranza sfruttata si occupa dei “suoi affari” e, se vuole “partecipare” agli affari pubblici, utilizza il voto e la protesta sindacale che l’atomizzano e l'individualizzano ancora di più. Unirsi, vivere la solidarietà, discutere collettivamente, cominciare ad agire in quanto corpo sociale indipendente, sono, di fatto, una violenza irresistibile contro l'ordine borghese.

La borghesia ha fatto l’impossibile per mettere un termine alle assemblee. Per la vetrina, con la nauseante ipocrisia che la caratterizza, erano solamente lodi e strizzatine di occhi complici verso gli Indignati, ma i fatti - che sono ciò che conta realmente - hanno smentito quest'apparente compiacenza.

A causa della prossima giornata elettorale - domenica 22 maggio -, l'assemblea elettorale centrale aveva deciso di vietare le assemblee in tutto il paese sabato 21, considerato come un "giorno di riflessione". Fin dalla mezza notte di sabato, un enorme spiegamento poliziesco accerchiava l'accampamento di Puerta del Sol, ma è a sua volta accerchiato da una folla gigantesca che obbligava lo stesso ministro degli Interni ad ordinare la ritirata. Più di 20 000 persone hanno occupato allora la piazza in una grande esplosione di gioia. Vediamo qui un altro episodio di scontro di classe, anche se la violenza esplicita si è ridotta ad alcuni tafferugli.

DRY propone di mantenere gli accampamenti pure osservando il silenzio per rispettare la "giornata di riflessione", dunque di non tenere assemblee. Ma nessuno le ha dato ascolto, e le assemblee di sabato 21, formalmente illegali, hanno registrato i più alti livelli di partecipazione. Nell'assemblea di Barcellona, dei cartelli, degli slogan ripresi in coro e dei cartelli proclamavano ironicamente in risposta all'assemblea elettorale: “Noi riflettiamo!”.

Domenica 22, giorno di elezioni, ha luogo un nuovo tentativo di mettere fine alle assemblee. DRY proclamava che “gli obiettivi sono raggiunti” e che il movimento doveva concludersi. La risposta è stata unanime: “Non siamo qui per le elezioni!”. Lunedì 23 e martedì 24, sia per il numero di partecipanti che per la ricchezza dei dibattiti, le assemblee hanno raggiunto il loro punto culminante. Gli interventi, le parole d'ordine, i cartelli che proliferavano dimostravano una profonda riflessione: “Dove si trova la sinistra? In fondo a destra!”; “Le urne non possono contenere i nostri sogni!”; “600 euro al mese, questa è violenza!”; “Se non ci lasciate sognare, vi impediremo di dormire!”; “Senza lavoro, senza alloggio, senza paura!”; “Hanno ingannato i nostri nonni, hanno ingannato i nostri figli, che non ingannino i nostri nipoti!”. Dimostrano così una coscienza delle prospettive: “Siamo il futuro, il capitalismo è il passato!”, “Tutto il potere alle assemblee!, non c’è evoluzione senza rivoluzione!”; “Il futuro comincia adesso!”; “Credi ancora che questa sia un'utopia?”…

A partire da questo culmine, le assemblee cominciano a declinare. In parte a causa della stanchezza, ma anche attraverso il bombardamento incessante di DRY per fare adottare il suo "Decalogo democratico". I punti del decalogo sono lungi dall'essere neutri, sono orientati direttamente contro le assemblee. La rivendicazione più "radicale", la "Iniziativa legislativa popolare"[15], oltre che implica degli interminabili percorsi parlamentari che scoraggerebbero i più tenaci, sostituiscono soprattutto il dibattito massiccio, dove tutti possono sentirsi parte attiva di un corpo collettivo, attraverso atti individuali, puramente cittadini, di protesta chiusa tra le quattro mura dell'Io[16].

Il sabotaggio dall'interno si è coniugato con gli attacchi repressivi dell'esterno, dimostrando fino a che punto la borghesia è ipocrita quando pretende che le assemblee costituiscono "un diritto costituzionale di riunione". Venerdì 27, il Governo catalano - in accordo col governo centrale - ha tentato con la forza un colpo: i “mossos di esquadra” (forze di polizia regionale) invadevano la Piazza della Catalogna a Barcellona reprimendo selvaggiamente, provocando numerosi feriti e molti arresti. L'assemblea di Barcellona - orientata fino ad allora più verso posizioni di classe - è presa nella trappola delle rivendicazioni democratiche classiche: petizioni per esigere le dimissioni del consigliere dell'interno, rigetto della repressione "sproporzionata"[17], rivendicazione di un “controllo democratico della polizia”. Il suo voltafaccia è tanto più evidente in quanto essa cede al veleno nazionalista ed include nelle sue rivendicazioni il “diritto all’autodeterminazione”.

Le scene di repressione si sono moltiplicate nella settimana dal 5 al 12 giugno: Valenza, Saint-Jacques di Compostela, Salamanca… Il colpo più brutale è portato tuttavia il 14 ed il 15 a Barcellona. Il Parlamento catalano stava discutendo una legge detta Omnibus che prevedeva in particolare violenti tagli sociali nei settori dell'educazione e della salute, oltre a 15 000 licenziamenti in questo ultimo. DRY, all'infuori di ogni dinamica di discussione in assemblee di lavoratori, convocava una "manifestazione pacifica" che consisteva nell'accerchiare il Parlamento per “impedire ai deputati di votare una legge ingiusta”. Si trattava di un'azione puramente simbolica tipica che, al posto di combattere una legge e le istituzioni che la emanano, si rivolgeva alla “coscienza” dei deputati. Ai manifestanti così intrappolati, non restava più della falsa scelta: o il campo democratico ed i piagnucolii impotenti e passivi della maggioranza, o (l'altra faccia della stessa medaglia) la violenza “radicale” di una minoranza.

Gli insulti e i pigia pigia di alcuni deputati sono stati l’occasione di una campagna isterica di criminalizzazione dei "violenti" (mettendo in questo stesso sacco quelli che difendevano posizioni di classe) e che chiama a "difendere le istituzioni democratiche minacciate". Affinché il ricciolo sia arricciato, DRY ha inalberato il suo pacifismo per chiedere ai manifestanti di esercitare la violenza sugli elementi “violenti”[18], e spingendosi ancora oltre: chiede apertamente che i "violenti" siano consegnati alla polizia e che i manifestanti applaudono quest’ultima per i suoi "buoni e leali servizi!"

Le manifestazioni del 19 giungo e l’estensione alla classe operaia

Fin dall’inizio il movimento ha avuto due anime: un’anima democratica molto ampia, alimentata dalle confusioni ed i dubbi, risultante dal suo carattere socialmente eterogeneo e la sua tendenza a sfuggire al confronto diretto. Ma c’era anche un’anima proletaria che si materializzava attraverso le assemblee[19] e la presenza di una tendenza costante ad “andare verso la classe operaia”.

All’Assemblea di Barcellona partecipano attivamente alcuni lavoratori delle telecomunicazioni e della sanità, dei pompieri e degli universitari mobilitati contro i tagli sociali. Creano una Commissione per l’estensione dello sciopero generale dove si svolgono dibattiti molto animati e organizzano una rete dei Lavoratori indignati di Barcellona che convoca un’assemblea di fabbriche in lotta per sabato 11 giugno, poi un Incontro per sabato 3 luglio. Venerdì 3 giugno disoccupati e lavoratori occupati manifestano in piazza Catalogna dietro uno striscione dove c’è scritto: “Abbasso la burocrazia sindacale!Sciopero Generale!”. A Valencia, l’Assemblea appoggia una manifestazione dei lavoratori dei trasporti pubblici ed anche una manifestazione di quartiere di protesta contro i tagli nell’insegnamento. A Saragozza, i lavoratori dei trasporti pubblici si uniscono con entusiasmo all’assemblea[20]. Nelle assemblee si decide di convocare assemblee di quartiere[21].

La manifestazione del 19 giugno vede una nuova spinta de “l’anima proletaria”. Questa manifestazione è stata convocata dalle Assemblee di Barcellona, Valencia, Malaga contro i tagli sociali. DRY tenta di snaturarla proponendo solo parole d’ordine democratiche. Ciò provoca una reazione che si concretizza, a Madrid, nell’iniziativa spontanea di andare palazzo del Congresso per manifestare contro i tagli, manifestazione che raggruppa più di 5.000 persone. Peraltro, un Coordinamento delle assemblee di quartiere della zona sud di Madrid, nata in seguito al fiasco dello sciopero del 29 settembre e con un orientamento molto simile a quello delle Assemblee generali interprofessionali nate in Francia durante gli avvenimenti dell’autunno 2010, lancia un appello: “Secondo le popolazioni e i quartieri di lavoratori di Madrid, andiamo al Congresso dove si decidono senza consultarci i tagli sociali per dire: Basta! (…) Questa iniziativa viene da una concezione assembleare di base della lotta operaia, contro quelli che prendono decisione sulle spalle dei lavoratori senza sottometterle alla loro approvazione. Perché la lotta è lunga, ti incoraggiamo ad organizzarti nelle assemblee di quartiere i locali, così come sui posti di lavoro o di studio”.

Le manifestazioni del 19 giugno hanno un reale successo, la partecipazione è di massa in più di 60 città, ma ancora più importante è il loro contenuto. Questo risponde alla brutale campagna contro “i violenti”. Esprimendo una maturazione nata da numerosi dibattiti negli ambienti più attivi[22], la parola d’ordine più diffusa, per esempio a Bilbao, è: “La violenza è non arrivare alla fine del mese!” e a Valladolid: “La violenza è anche la disoccupazione e le espulsioni!”.

Ma è soprattutto la manifestazione a Madrid ad esprimere la virata del 19 giugno verso la prospettiva del futuro. Questa viene convocata da un organismo direttamente legato alla classe operaia e nato dalle sue minoranze più attive[23]. Il tema di questo assembramento è: “Marciamo insieme contro la crisi e contro il capitale”. Le rivendicazioni sono: “No alle riduzioni di salari e pensioni; per lottare contro la disoccupazione: la lotta operaia contro l’aumento dei prezzi, per l’aumento dei salari, per l’aumento delle tasse di quelli che guadagnano di più, in difesa dei servizi pubblici, contro le privatizzazioni della sanità, dell’educazione… Viva l’unità della classe operaia![24].

Un collettivo di Alicante adotta lo stesso Manifesto. A Valencia un “Blocco autonomo e anticapitalista” di diversi collettivi molto attivi nelle assemblee diffonde un Manifesto che dice: “Volgiamo una risposta alla disoccupazione. Che i disoccupati, i precari, quelli che conoscono il lavoro nero, si riuniscano in assemblea, che decidano collettivamente le loro rivendicazioni e che queste siano soddisfatte. Noi chiediamo il ritiro della legge di riforma dello Statuto dei lavoratori e di quella che autorizza dei piani sociali senza controllo e con un indennizzo di 20 giorni. Noi chiediamo il ritiro della legge sulla riforma delle pensioni di anzianità perché, dopo una vita di privazioni e di miseria, non vogliamo sprofondare in una miseria ed in una incertezza ancora più grandi. Noi chiediamo che cessino le espulsioni. Il bisogno umano di avere una casa è superiore alle leggi cieche del commercio e della ricerca di profitto. Noi diciamo NO ai tagli che toccano la sanità e l’educazione, No ai prossimi licenziamenti che stanno preparando i governi regionali e i comuni dopo le ultime elezioni”[25].

La marcia su Madrid è stata organizzata in diverse colonne partite da sette periferie e quartieri periferici diversi; man mano che queste colonne avanzano si aggiungono folle sempre più fitte. Queste folle riprendono la tradizione operaia degli scioperi del 1972-76 in Spagna (ma anche quella del 1968 in Francia) dove, a partire da un concentramento operaio o di una fabbrica “faro”, come all’epoca la Standard di Madrid, le manifestazioni venivano raggiunte da masse crescenti di operai, abitanti, disoccupati, giovani e tutte queste masse convergevano verso il centro della città. Questa tradizione era già riapparsa nelle lotte a Vigo del 2006 e nel 2009[26].

A Madrid, il Manifesto letto durante gli assembramenti chiama a fare delle “Assemblee al fine di preparare uno sciopero generale”, appello accolto al grido “Viva la classe operaia!”.

La necessità di contemperare entusiasmo e riflessione

Le manifestazioni del 19 giugno provocano un sentimento di entusiasmo; una manifestante a Madrid dichiara: "L’atmosfera era quella di un’autentica festa. Si marciava assieme tra persone molto diverse e di tutte le età: giovani intorno ai 20 anni, pensionati, famiglie con bambini, altre persone ancore diverse ... e con delle persone che erano affacciate al balcone e che ci applaudivano. Sono rientrata in casa esausta, ma con un sorriso raggiante. Non solo avevo la sensazione di aver contribuito ad una giusta causa, ma anche di aver trascorso un moment veramente fantastico”. Un altro dice: “E’ veramente importante vedere tutte queste persone riunite in una piazza, parlare di politica o lottare per i loro diritti. Non avete la sensazione che stiamo per recuperare la strada?".

Dopo le prime esplosioni caratterizzate da assemblee "in ricerca", il movimento comincia a cercare la lotta aperta, a intravedere che la solidarietà, l’unione, la costruzione di una forza collettiva possono essere portate a termine[27]. Si fa strada l’idea che “Possiamo esprimere la nostra forza di fronte al capitale e al suo Stato!”, e che la chiave di questa forza sarà l’entrata in lotta della classe operaia. Nelle assemblee di quartiere di Madrid, un dibattito ha avuto per tema la convocazione di uno sciopero generale ad ottobre per “respingere gli attacchi sociali”. Al che i sindacati CCOO e UGT hanno gridato che questa convocazione era “illegale” e che loro soltanto erano autorizzati a farla, ma molti settori hanno risposto alto e chiaro: “solo le assemblee di massa possono convocarla”.

Ciononostante non dobbiamo farci prendere dall’euforia, l’entrata in lotta della classe operaia non sarà un processo facile. Le illusioni e le confusioni sulla democrazia, il punto di vista “cittadino”, le “riforme”, pesano fortemente, rafforzate dalla pressione di DRY, dei politici, dei media, che sfruttano i dubbi e l’immediatismo che spingono a cercare dei “risultati rapidi e palpabili”, ma anche la paura di fronte all’ampiezza delle questioni che si pongono. E’ importante soprattutto comprendere che la mobilitazione degli operai sul loro luogo di lavoro é oggi particolarmente difficile per l’alto rischio di essere licenziati, di restare senza risorse, cosa che per molti significherebbe passare la frontiera tra una vita miserabile ma sopportabile e una vita miserabile e di estrema povertà.

I canoni della democrazia e del sindacato vedono la lotta come somma di singole decisioni. Non siete scontenti? Non vi sentite calpestati? Si, lo siete! Allora, perché non vi ribellate? Sarebbe così semplice se per l’operaio si trattasse di scegliere tra l’essere “coraggioso” o “vile”, solo con la sua coscienza, come ad un seggio elettorale! La lotta di classe non segue questo tipo di schema idealista e mistificante perché è il risultato di una forza e di una coscienza che sono collettive e che provengono non solo dal malessere che provoca una situazione insostenibile, ma anche dalla percezione che è possibile lottare assieme e che esiste un minimo di solidarietà e di determinazione che lo permettono.

Una tale situazione é il prodotto di un processo sotterraneo che si basa su tre pilastri: l’organizzazione in assemblee aperte che permettono di prendere coscienza delle forze disponibili e della strada da seguire per accrescerle; la coscienza per definire cosa vogliamo e come conquistarla; la combattività di fronte al boicottaggio dei sindacati e di tutti gli organi di mistificazione.

Questo processo è in corso, ma è difficile sapere quando e come arriverà a maturazione. Un confronto può eventualmente aiutarci. In occasione del grande sciopero di Maggio ‘68[28], vi fu il 13 maggio una manifestazione gigantesca a Parigi a sostegno degli studenti che erano stati brutalmente repressi. Il sentimento di forza che questa produce si traduce, dall’indomani, nello scoppio di una serie di scioperi spontanei, come quello della Renault a Cléon e poi a Parigi. Questo non si è prodotto dopo le grandi manifestazioni del 19 giugno in Spagna. Perché?

La borghesia, nel maggio 1968, era poco preparata politicamente ad affrontare la classe operaia, la repressione essendo servita solo a gettare olio sul fuoco; oggi essa può contare in molti paesi su un apparato super sofisticato di sindacati e partiti e può dispiegare delle campagne ideologiche basate precisamente sulla democrazia, che le permettono un uso politico molto efficace di repressione selettiva. Ai nostri giorni, l’emergere di una lotta richiede uno sforzo ben superiore di coscienza e di solidarietà rispetto al passato.

Nel maggio 1968, la crisi era solo agli inizi; adesso essa spinge chiaramente il capitalismo in un’impasse. Questa è una situazione che intimidisce i proletari, rendendo difficile l’entrata in sciopero anche per una ragione “semplice” come l’aumento salariale. La gravità della situazione tuttavia fa che scoppino degli scioperi perché “la misura è colma”, ed in questo contesto matura l’idea che “il proletariato non ha da perdere che le sue catene e tutto un mondo da guadagnare”.

Questo movimento non ha frontiere

Se dunque la strada sembra essere più lunga e dolorosa che nel maggio 1968, le basi che si forgiano sono tuttavia molto più solide. Una di queste, determinante, é il concepirsi come parte di un movimento internazionale. Dopo tutto un periodo “di prova” con alcuni movimenti di massa (il movimento degli studenti in Francia nel 2006 e la rivolta della gioventù in Grecia nel 2008[29]), sono ormai nove mesi che si susseguono movimenti ben più ampi che lasciano intravedere la possibilità di fermare la mano barbara del capitalismo: Francia nell’autunno 2010, Gran Bretagna nel novembre e dicembre 2010, Egitto, Tunisia, Spagna e Grecia nel 2011.

La coscienza che il movimento “15M” fa parte di questa catena internazionale comincia a svilupparsi in maniera embrionale. Lo slogan "Questo movimento non ha frontiere" é stato ripreso da una manifestazione a Valencia. Delle manifestazioni "per una Rivoluzione europea" furono organizzate da diversi accampamenti, il 15 giugno ci sono state delle manifestazioni a sostegno della lotta in Grecia, che si sono ripetute il 29. Il 19, gli slogan internazionalisti cominciano ad apparire in maniera minoritaria: un cartellone diceva: “una felice comunità mondiale!” mentre un altro riportava in inglese: “World Revolution”.

Per anni, ciò che veniva chiamato “globalizzazione dell’economia” serviva come pretesto alla borghesia di sinistra per suscitare delle reazioni nazionaliste, con la rivendicazione della “sovranità nazionale” nei confronti di “mercati apolidi”. Essa proponeva agli operai niente di meno che essere più nazionalisti della borghesia! Con lo sviluppo della crisi, ma anche grazie alla diffusione di Internet, ai social network, ecc., la gioventù operaia comincia a respingere queste campagne contro i loro promotori. Si fa strada l’idea che “di fronte alla globalizzazione dell’economia bisogna rispondere con la globalizzazione internazionale delle lotte”, che di fronte alla miseria mondiale l’unica risposta possibile è la lotta mondiale.

Il “15M” ha avuto un’ampia ripercussione a livello internazionale. Le mobilitazioni in Grecia da due settimane seguono lo stesso “modello” di assemblee di massa nelle piazze principali; si sono ispirate coscientemente agli avvenimenti di Spagna[30]. Secondo Kaosenlared del 19 giugno, “é la quarta domenica consecutiva che migliaia di persone, di tutte le età, manifestano a piazza Syntagma davanti al Parlamento greco, chiamati dal movimento paneuropeo degli “Indignati”, per protestare contro le misure d’austerità.

In Francia, in Belgio, in Messico, in Portogallo si tengono delle assemblee regolari molto minoritarie dove viene espressa solidarietà con gli Indignati e il tentativo di dare impulso al dibattito e a una risposta. In Portogallo "Circa 300 persone, principalmente giovani, hanno marciato domenica pomeriggio al centro di Lisbona convocati da Democracia Real Ya, ispirati dagli Indignati spagnoli. I manifestanti portoghesi hanno marciato dietro a uno striscione dove si poteva leggere: “Spagna, Grecia, Irlanda, Portogallo: la nostra lotta é internazionale![31].

Il ruolo delle minoranze attive nella preparazione delle nuove lotte

La crisi mondiale del debito illustra la realtà della crisi senza uscite del capitalismo. In Spagna, come negli altri paesi, piovono attacchi frontali rispetto ai quali non è possibile intravedere nessuna tregua se non dei nuovi e più forti tagli alle nostre condizioni di vita. La classe operaia deve reagire e per farlo deve fare forza sullo slancio generato dalle assemblee di maggio e le manifestazioni del 19 giugno.

Per preparare queste risposte, la classe operaia secerne al suo interno delle minoranze attive, dei compagni che cercano di comprendere quello che succede, che si politicizzano, animano i dibattiti, le azioni, le riunioni, le assemblee, che cercano di convincere quelli che sono ancora in dubbio, che apportano degli argomenti a quelli che sono alla ricerca. Come abbiamo visto all’inizio, queste minoranze hanno contribuito alla nascita del “15M”.

Con le sue modeste forze, la CCI ha partecipato al movimento, cercando di dare degli orientamenti. “Quando c’è una prova di forza tra le classi, si assiste a delle fluttuazioni importanti e rapide di fronte alle quali bisogna sapersi orientare, guidati dai principi e dalle analisi senza annegare. Bisogna essere nel flusso del movimento, sapendo come concretizzare gli “scopi generali” per rispondere alle reali preoccupazioni di una lotta, per poter appoggiare e stimolare le tendenze positive che stanno emergendo[32]. Abbiamo scritto numerosi articoli che cercano di comprendere le diverse fasi attraverso le quali è passato il movimento, facendo ugualmente delle proposizioni concrete e realizzabili: l’emergere delle assemblee e la loro vitalità, l’offensiva di DRY contro di esse, la trappola della repressione, la svolta rappresentata dalle manifestazioni del 19 giugno[33].

Essendo il dibattito un’altra necessità del movimento, abbiamo aperto una rubrica nella pagina in lingua spagnola del nostro sito, “Debate sobre el movimiento 15M”, nella quale compagni con analisi e posizioni differenti hanno potuto esprimersi.

Lavorare con altri collettivi e minoranze attive é stata un’altra delle nostre priorità. Ci siamo coordinati e abbiamo partecipato a iniziative comuni con il Circolo operaio di dibattito di Barcellona, con la Rete di Solidarietà di Alicante e con diversi collettivi di Valencia.

Nelle assemblee, i nostri militanti sono intervenuti su dei punti concreti: difesa delle assemblee, orientare la lotta verso la classe operaia, dare impulso ad assemblee di massa nei centri di lavoro e di studio, rigetto delle rivendicazioni democratiche rimpiazzandole con la lotta contro gli attacchi alle condizioni sociali, rimanendo come sola possibilità realista - nell’impossibilità di riformare o democratizzare il capitalismo - la sua distruzione[34]. Nella misura delle nostre possibilità abbiamo anche partecipato attivamente a delle assemblee di quartiere.

In seguito al “15M”, la minoranza favorevole ad un orientamento di classe si è allargata e si è resa più dinamica ed influente. Questa si deve mantenere unita, sviluppare un dibattito, coordinarsi a livello nazionale e internazionale. Di fronte all’insieme della lasse operaia, si deve affermare una posizione che raccolga le sue esigenze e le sue aspirazioni più profonde: contro la menzogna democratica, mostrare ciò che si profila dietro la parola d’ordine “Tutto il potere alle assemblee!”; contro le rivendicazioni di riforme democratiche, mostrare la lotta conseguente contro gli attacchi sociali; contro delle “riforme” illusorie del capitalismo, mostrare la lotta tenace e perseverante nella prospettiva della distruzione del capitalismo.

L’importante é che si sviluppino in questo ambiente un dibattito e una lotta. Un dibattito sulle numerose questioni sorte in questi ultimi mesi: Riforma o rivoluzione? Democrazia o assemblea? Movimento cittadino o movimento di classe? Rivendicazioni democratiche o rivendicazioni contro gli attacchi sociali? Sciopero generale o sciopero di massa? Sindacati o assemblee? ecc. Una lotta per spingere verso l’autorganizzazione e la lotta indipendente ma soprattutto per poter schivare e superare le molteplici trappole che saranno tese sul nostro cammino.

C. Mir

 

[2] Un responsabile di Caritas in Spagna, ONG ecclesiastica che si consacra alla povertà, segnalava che “parliamo a oggi di 8 milioni di persone in corso di esclusione e 10 milioni sotto la soglia di povertà”. Cf www.burbuja.info/inmobiliaria/threads/tenemos-18-millones-de-excluidos-o-pobres-francisco-lorenzo-responsable-de-caritas.230828. 18 milioni di persone, è un terzo della popolazione della Spagna! Questa non è affatto una particolarità spagnola, il livello di vita dei greci è sceso in un anno dell’8%.

[3] Ritorneremo su questo più in dettaglio nel prossimo paragrafo.

[4] Cf. “Comunicato sui metodi polizieschi subiti dalle persone arrestate alla fine della manifestazione del 15 maggio 2011 a Madrid”, https://it.internationalism.org/node/1071. Abbiamo pubblicato questo comunicato in diverse lingue.

[5] Due slogan venivano ripresi ampiamente “PSOE-PP è la stessa merda!” e “Con rose o gabbiani ci prendono per scemi!”, la rosa è il simbolo del Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE) ed il gabbiamo quello del Partito Popolare (PP).

[7] Questa citazione di Rosa Luxemburg, tratta da Sciopero di massa, partiti e sindacati e che fa riferimento al grande sciopero del sud della Russia nel 1903, dopo un secolo calza a pennello all’atmosfera esaltante delle assemblee.

[9] Cf. première partie “Feuerbach- Opposizione della concezione materialista e idealista”, B, “La base reale dell’ideologia”.

[10] Vedi il nostro testo “La decomposizione, fase ultima della decadenza del capitalismo”, https://it.internationalism.org/node/976.

[11]Tesi sul movimento degli studenti nella primavera 2006 in Francia”, https://it.internationalism.org/rint/28_tesi_studenti.

[12] A nostro avviso la causa fondamentale di queste difficoltà si trova negli avvenimenti del 1989 che fecero crollare i regimi statali identificati come “socialisti” e che permisero alla borghesia di sviluppare una forte campagna sulla “fine del comunismo”, la “fine della lotta di classe”, il “fallimento del comunismo”, ecc. che colpirono brutalmente più di una generazione operaia. Cf. “Crollo del blocco dell’Est: maggiori difficoltà per il proletariato” nella Rivista Internazionale n. 60, disponibile in inglese, https://en.internationalism.org/ir/60/difficulties_for_the_proletariat, e francese, https://fr.internationalism.org/rinte60/prolet.htm.

[13] Ricordiamo come anche tra febbraio e giugno del 1848 in Francia ebbe luogo questo tipo di “grande festa di tutte le classi sociali” che si concluderà con le giornate di giugno dove il proletariato parigino si scontrerà, armi alla mano, al Governo Provvisorio. Nel corso della Rivoluzione russa del 1917, tra febbraio ed aprile, regna questa stessa atmosfera di unione generale sotto l’egida della “democrazia rivoluzionaria”.

[14] A eccezione dell’estrema destra che, portata dal suo odio irreprensibile contro la classe operaia, esprimeva a voce alta quello che le altre frazioni della borghesia si limitavano a dire nell’intimità dei loro salotti.

[15] Possibilità per i cittadini di raccogliere un certo numero di firme per proporre e far votare delle leggi e delle riforme al Parlamento.

[16] La democrazia si basa sulla passività e l’atomizzazione dell’immensa maggioranza ridotta ad una somma di individui tanto più indifesi e vulnerabili quanto più pensano che il loro IO può essere sovrano. Al contrario, le assemblee partono dal punto di vista opposto: gli individui sono forti perché essi si appoggiano sulla “ricchezza dei loro rapporti sociali” (Marx) integrandosi ed essendo parte pregnante di un vasto corpo collettivo.

[17] Come se potesse esistere una repressione “proporzionata”!

[18] DRY chiede che i manifestanti circondano e critichino pubblicamente i comportamenti di ogni elemento “violento” o “sospetto di essere violento” (sic).

[19] Le sue origini più lontane sono le riunioni dei distretti durante la Comune di Parigi, ma è con il movimento rivoluzionario in Russia nel 1095 che queste si affermano e, da allora, un grande movimento della classe le vedrà sorgere sotto differenti forme e appellativi: Russia 1917, Germania 1919, Ungheria 1919 e 1956, Polonia 1980… A Vigo in Spagna nel 1972 c’è stata una Assemblea generale cittadina che si ripeterà a Pamplona nel 1973 e a Vitoria nel 1976, poi di nuovo a Vogo nel 2006. Abbiamo scritto numerosi articoli sull’origine di queste assemblee operaie. Vedi in particolare la serie “Cosa sono i consigli operai” a partire dalla Rivista Internazionale n. 140 in inglese, francese e spagnolo.

[20] A Cadice, l’Assemblea generale organizza un dibattito sulla precarietà che attira molta gente. A Caceres viene denunciata l’assenza d’informazione sul movimento in Grecia e ad Almeria, il 15 giugno, viene organizzata una riunione sulla “situazione del movimento operaio”.

[21] Nei fatti sono delle armi a doppio taglio: esse hanno degli aspetti positivi, per esempio l’estensione del dibattito di massa verso ampi strati della popolazione lavoratrice e la possibilità – come è stato il caso – di dare impulso ad assemblee contro la disoccupazione e la precarietà, rompendo l’atomizzazione ed il sentimento di vergogna che prende molti disoccupati, rompendo anche la situazione di totale vulnerabilità nella quale si trovano i lavoratori precari del piccolo commercio. Il punto negativo è che esse vengono anche utilizzate per disperdere il movimento, fargli perdere di vista le sue preoccupazioni più generali, per bloccarlo in dinamiche “cittadine” favorite dal fatto che il quartiere – entità che mescola gli operai con la piccola borghesia, i padroni, ecc. – si presta di più a questo genere di preoccupazioni.

[22] Vedi tra l’altro “A propósito de un protocolo anti-violencia”

[23] Nel Coordinamento delle Assemblee di quartiere e della periferia del sud di Madrid si trovano fondamentalmente Assemblee di lavoratori di diversi settori pur partecipandovi anche dei piccoli sindacati radicali. Vedi  https://asambleaautonomazonasur.blogspot.com/.

[24] La privatizzazione dei servizi pubblici e delle Casse di risparmio è una risposta del capitalismo all’aggravamento della crisi e, più concretamente, al fatto che lo Stato, sempre più indebitato, è costretto a ridurre le spese, perciò lascia degradare a livello insopportabile la qualità dei servizi essenziali. Tuttavia è importante capire che l’alternativa alle privatizzazioni non è la lotta per il mantenimento di questi servizi nelle mani dello Stato. In primo luogo perché i servizi “privatizzati” spesso continuano ad essere controllati organicamente dalle istituzioni statali che danno in appalto il lavoro ad imprese private. E in secondo luogo, perché lo Stato e la proprietà statale non ha niente di “sociale” né ha a che vedere con il “benessere del cittadino”. Lo Stato è un organo esclusivamente al servizio della classe dominante e la proprietà statale è basata sullo sfruttamento salariale. Questa problematica ha iniziato a porsi in certi ambienti operai, in particolare in un’assemblea a Valencia contro la disoccupazione e la precarietà. www.kaosenlared.net/noticia/cronica-libre-reunion-contra-paro-precariedad.

[26] “Vedi Sciopero della metallurgia a Vigo in Spagna, un passo avanti nella lotta proletaria”, https://it.internationalism.org/rziz/145/vigo e anche A Vigo, en Espagne: les méthodes syndicales mènent tout droit à la défaite.

[27] Il che non implica una sottovalutazione degli ostacoli che la natura intransigente del capitalismo, basata sulla concorrenza a morte e la sfiducia reciproca, oppone a questo processo d’unificazione. Questo potrà realizzarsi solo dopo enormi e complessi sforzi basati sulla lotta unitaria e di massa della classe operaia, una classe che produce collettivamente e con il lavoro associato le principali ricchezze sociali e che, per questo, contiene in sé la ricostruzione dell’essere sociale dell’umanità.

[28] Cf. la serie “Maggio 68 e la prospettiva rivoluzionaria” sul nostro sito.

[29] Cf. “Tesi sul movimento degli studenti nella primavera 2006 in Francia”, https://it.internationalism.org/rint/28_tesi_studenti e “Grecia: le rivolte giovanili confermano lo sviluppo della lotta di classe”, https://it.internationalism.org/node/761.

[30] La censura sugli avvenimenti in Grecia e i movimenti di massa che si stanno avendo è totale, cosa che ci impedisce di integrarli nella nostra analisi.

[31] Ripreso da Kaosenlared.

[32] Rivista Internazionale n. 20, “Sull’intervento dei rivoluzionari: risposta ai nostri censori” disponibile in inglese, https://en.internationalism.org/node/2748, francese, https://fr.internationalism.org/rinte20/intervention.htm e spagnolo https://es.internationalism.org/node/2142.

[33] Vedi i differenti articoli su ciascuno di questi momenti nella nostra stampa.

[34] Non era una insistenza specifica della CCI, una parola d’ordine assai popolare era: “Essere realisti, è essere anticapitalisti!”, uno striscione proclamava: “Il sistema è inumano, siamo noi antisistema”.

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