Autunno caldo 1969: tappa della ripresa storica della lotta di classe. Estratti presentazione alla Riunione Pubblica di novembre

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Quello che viene comunemente ricordato come l’Autunno caldo italiano è un insieme di lotte che scuotono l’Italia dal Piemonte alla Sicilia e che cambieranno permanentemente il quadro sociale e politico del paese. Ma queste lotte non sono una peculiarità italiana. Infatti alla fine degli anni ’60 si può assistere, particolarmente in Europa ma non solo, allo sviluppo di una serie di lotte e di momenti di presa di coscienza da parte del proletariato che mostrano, nel loro insieme, che qualcosa è cambiato: la classe operaia, risvegliatasi dal lungo torpore degli anni della controrivoluzione in cui l’avevano cacciata la sconfitta degli anni ’20, la guerra e l’azione nefasta dello stalinismo, torna finalmente sulla scena sociale per riprendere la sua lotta storica contro la borghesia. Il maggio francese del 1968, gli scioperi in Polonia del 1970 e le lotte in Argentina del 69-73, assieme all’Autunno caldo in Italia sono soltanto gli eventi maggiori di questa dinamica nuova che investe tutti i paesi del mondo e che aprirà la nuova epoca di scontri sociali che, tra alti e bassi, è arrivata fino a noi oggi.

Come si arriva all’Autunno caldo?

Il clima internazionale

Benché il 69 sia stata una vera esplosione di lotte tanto da sorprendere completamente la borghesia italiana, non bisogna credere che il tutto si sia prodotto dalla sera alla mattina. In realtà ci sono molteplici elementi, sia a livello nazionale che a livello internazionale, che concorrono a creare un’atmosfera nuova nella classe operaia italiana, e particolarmente nella sua componente giovane.

Anzitutto c’è, a livello internazionale, una serie di scenari politici che cominciano a colpire la sensibilità di una serie di elementi, tra cui principalmente:

  • la Guerra del Vietnam,
  • l’epopea del Che Guevara,
  • le imprese dei guerriglieri palestinesi,
  • il riflesso internazionale dello sviluppo del cosiddetto comunismo cinese.

Anche se ognuna di queste vicende internazionali si produceva su un piano esterno ed ostile a quello proletario, essenzialmente quello della guerra, nondimeno esse testimoniavano una profonda sofferenza dell’umanità proprio per queste guerre, ed è questo l’incipit che fa scoccare in molti elementi il disgusto per le violenze prodotte all’epoca e lo sviluppo di un sentimento di solidarietà verso i popoli che soffrono.

All’interno di questo scenario, l’esplosione delle lotte studentesche ed operaie del Maggio francese ha una risonanza internazionale tale da costituire un elemento di riferimento e di incoraggiamento per i giovani e i proletari in tutto il mondo. Il Maggio era stato infatti la dimostrazione non solo che lottare si può, ma che si può anche vincere.

Sul piano nazionale invece …

Sul piano nazionale invece ci sono molteplici componenti che concorrono a preparare il terreno: l’attività di una serie di minoranze politiche che riprendono un lavoro di ricerca e di chiarificazione politica; l’arrivo di una nuova generazione di classe operaia con delle caratteristiche nuove e – non per ultimo – alcune esperienze di scontri di piazza che avevano lasciato il segno nella classe operaia. (…)

Dal ’68 studentesco all’autunno caldo

Parlare di autunno caldo è piuttosto limitativo nei confronti di un episodio storico che, come abbiamo potuto vedere, affonda le radici in una dinamica a livello locale e internazionale che risale indietro per diversi anni. E che, peraltro, non dura una singola stagione, come avviene invece per il maggio francese, ma si stempera – nella sua fase alta – per almeno due anni, nel biennio 68-69 con un riverbero che dura almeno fino al ‘73. Per giunta in questo biennio vi è anche l’esplosione delle lotte studentesche, il ’68 italiano, che tanta parte avrà nella storia degli anni successivi e nella stessa dinamica proletaria, come vedremo in seguito. E’ perciò importante ripercorrere i singoli episodi per ritrovarvi lo sviluppo, progressivo e imponente, della maturazione della lotta di classe nel suo ritorno sulla scena storica in Italia.

Il ‘68 studentesco

Le scuole e soprattutto le università avvertono fortemente i segni di cambiamento della fase storica. Il boom economico che si era prodotto, in Italia come nel resto del mondo, dopo la fine della guerra, aveva permesso alle famiglie proletarie di raggiungere un tenore di vita meno miserabile e alle aziende di puntare su un incremento massiccio della propria mano d’opera. Ciò permette alle giovani generazioni delle classi sociali più deboli di accedere agli studi universitari dove acquisire una professione e una cultura più ampia attraverso le quali raggiungere una posizione sociale più soddisfacente rispetto a quella dei propri genitori. Ma l’ingresso di questi folti strati sociali nell’università porta non solo ad un significativo cambiamento della composizione sociale della popolazione studentesca, ma anche a una diversa destinazione della figura di laureato che non viene più preparato per assumere un ruolo dirigente ma per essere inserito in una rete di produzione – industriale o commerciale che sia – dove l’iniziativa dell’individuo è sempre più ridotta. E’ questo back-ground socio-culturale che spiega, almeno in parte, i motivi della protesta giovanile di questi anni, protesta contro il sapere dogmatico impartito da una casta di baroni universitari dalla gestione feudale, contro la meritocrazia, contro il settorialismo, contro una società che viene avvertita vecchia e ripiegata su sé stessa.

Lo sviluppo delle lotte operaie

Nella primavera del 1968 si accendono in tutta Italia una serie di lotte in una cinquantina di aziende diverse che hanno come obiettivo un aumento salariale uguale per tutti. Nella lotta, dapprima gestita da vecchi attivisti e dal sindacato, si impongono alcuni giovani operai che “criticano vivacemente i sindacalisti e i membri di C.I. sui modi e sulle tappe della lotta” modificando qualitativamente le forme di mobilitazione, attraverso picchetti duri e cortei interni per costringere gli impiegati a scioperare. Questa ventata di gioventù provoca una partecipazione massiccia alla lotta, aumentano le ore di sciopero, vengono effettuate manifestazioni per le vie di Sesto San Giovanni, si arriva a sfondare il portone del palazzo che ospita la direzione aziendale.

Da allora in poi è tutto un crescendo. “Il bilancio del ’69 alla Fiat è un bollettino di guerra: 20 milioni di ore di sciopero, 277.000 veicoli perduti, boom (+37%) delle vendite di auto straniere.”

L’iniziativa operaia non si muove più soltanto su quante ore di sciopero fare, ma anche su come scioperare. Si sviluppa presto una logica del rifiuto del lavoro che corrisponde ad assumere un atteggiamento di rifiuto di collaborare con le sorti dell’azienda rimanendo fermamente attestati sulla difesa delle condizioni operaie. Questo produce una nuova logica di come condurre uno sciopero che punta al minimo sforzo da parte operaia con il massimo di danni prodotti contro il padrone. E’ lo sciopero a gatto selvaggio secondo il quale sciopera solo un ristretto gruppo di operai dalla cui attività dipende però l’intero ciclo di produzione. Cambiando di volta in volta il gruppo che entra in sciopero, si riesce a bloccare più e più volte tutta la fabbrica con il minimo di “spesa”.

Dal punto di vista della rappresentatività operaia é caratteristico di questa fase lo slogan “siamo tutti delegati”, che significa rifiuto di qualunque mediazione sindacale e imposizione al padronato di un rapporto diretto con le lotte degli operai.

In tutto questo il sindacato ha una presenza effimera. In realtà il sindacato, come la borghesia, rimane completamente smarcato dalla capacità e dalla forza della lotta della classe operaia di questi anni, e fa l’unica cosa che gli riesce di fare, cerca di stare a galla e di seguire il movimento, di non farsi scavalcare troppo. D’altra parte una reazione così forte manifestatasi all’interno della classe era anche l’espressione della mancanza di un significativo radicamento dei sindacati nel proletariato e dunque di una loro capacità di bloccare in anticipo o di deviare la combattività, come invece succede oggi. Ma questo non significa che ci fosse una profonda coscienza antisindacale nella classe operaia. Più che altro gli operai si muovono nonostante i sindacati, non contro i sindacati, anche se non mancano significative punte di coscienza.

Il biennio 68-69 è un rullo compressore di scioperi e manifestazioni, con episodi di grande tensione come le lotte nel siracusano, che si conclusero con gli scontri di Avola, o quelle di Battipaglia, che pure dettero luogo a scontri molto forti. Ma una tappa storica all’interno di questa dinamica è certamente costituita dagli scontri di corso Traiano a Torino del luglio 1969. In questa occasione il movimento di classe in Italia matura una tappa importante: il congiungimento tra il movimento operaio e quello delle avanguardie studentesche. Gli studenti, con la loro maggiore disponibilità di tempo e la loro mobilità riescono a dare un significativo contributo alla classe operaia in lotta, che a sua volta riscopre attraverso la gioventù che le si era avvicinata tutta la propria alienazione e tutta la voglia di farla finita con la schiavitù della fabbrica. La saldatura tra questi due mondi darà una forte enfasi alle lotte che si produrranno nel 69, e particolarmente a quella di corso Traiano.

Dal testo del volantino della Assemblea operaia di Torino, redatto il 5 luglio dopo i fatti di corso Traiano, si percepiscono tutta una serie di punti di forza dell’autunno caldo. Anzitutto l’idea dell’egualitarismo, cioè che gli aumenti dovevano essere uguali per tutti, indipendentemente dalla categoria di partenza, e comunque sganciati dalla redditività del proprio lavoro. Inoltre il recupero del tempo libero per gli operai, per poter vivere la propria vita, per poter fare politica, ecc. Da cui la richiesta di riduzione degli orari di lavoro e il rifiuto deciso del lavoro a cottimo.

Come riporta lo stesso volantino, sulla base di questi elementi gli operai torinesi riuniti in assemblea dopo gli scontri del 3 luglio propongono a tutti gli operai italiani di aprire una nuova e più radicale fase della lotta di classe che faccia avanzare, sugli obiettivi avanzati dagli stessi operai, l’unificazione politica di tutte le esperienze autonome di lotta fin qui realizzate.

Per questo verrà indetto a Torino un convegno nazionale dei comitati e delle avanguardie operaie:

  1. per confrontare e unificare le diverse esperienze di lotta sulla base del significato della lotta Fiat
  2. per mettere a punto gli obiettivi della nuova fase dello scontro di classe che partendo dalla condizione materiale degli operai dovrà investire tutta l'organizzazione sociale capitalista.

Quello che si terrà il 26/27 luglio al Palasport di Torino sarà un “convegno nazionale delle avanguardie operaie”. Parlano operai di tutta Italia che raccontano di scioperi e cortei e ed avanzano come rivendicazioni l’abolizione delle categorie, la riduzione dell’orario di lavoro a 40 ore, aumenti salariali uguali per tutti in assoluto e non in percentuale e la parità normativa con gli impiegati. E’ rappresentata tutta l’industria italiana (…).

Una cosa così non si era mai vista, un’assemblea nazionale delle avanguardie operaie di tutta Italia, un momento di protagonismo della classe operaia a cui è possibile assistere solo in un momento di forte ascesa della combattività operaia, come fu appunto l’Autunno caldo.

I mesi successivi, quelli che sono rimasti nella memoria storica come l’Autunno Caldo, continuarono sulla stessa falsariga. I numerosi episodi di lotta si snocciolano di giorno in giorno con una cadenza infernale (per la borghesia) anche per la ricorrenza della scadenza contrattuale di molte categorie di lavoratori, che costrinsero i sindacati ad indire una serie di scioperi e manifestazioni. Questo enorme sviluppo di combattività accompagnato da momenti di chiarificazione importanti nella classe operaia incontrerà però, nel periodo successivo, degli ostacoli importanti. La borghesia italiana, come quella degli altri paesi che avevano dovuto far fronte al risveglio della classe operaia, non rimane a lungo con le mani in mano e, a parte gli interventi frontali messi in atto dai corpi di polizia, cerca gradualmente di aggirare l’ostacolo con strumenti diversi. La capacità di recupero della borghesia si basa molto sulle debolezze di un movimento proletario che, nonostante un’enorme combattività, era ancora privo di una chiara coscienza di classe e le cui stesse avanguardie non avevano la maturità e la chiarezza necessarie a svolgere il loro ruolo.

Le debolezze della classe operaia nell’autunno caldo

Le debolezze della classe operaia nell’autunno caldo sono legate principalmente alla profonda rottura organica prodotta nel MO e alla scarsa e del tutto insignificante influenza della sinistra comunista: si pensi che sia Battaglia Comunista che Programma Comunista, i principali epigoni della corrente cosiddetta della sinistra italiana, si rifiutano entrambe di riconoscere nell’autunno caldo e nelle lotte di fine anni ’60 la ripresa storica della classe a livello internazionale ed hanno all’epoca una presenza praticamente nulla. Ciò fece sì che i gruppi politici che si erano formati all’epoca fossero spinti a reinventarsi delle posizioni e un programma d’azione. Il problema è però che il punto da cui partivano era l’esperienza fatta all’interno del vecchio e decrepito partito stalinista. Per cui l’enorme generazione di militanti che vengono allo scoperto in contrapposizione a tali partiti ed ai sindacati in maniera spontanea, rompendo i ponti con i partiti di sinistra, rompe un po’ i ponti anche con la tradizione marxista e va alla ricerca di una coerenza rivoluzionaria nelle “novità” che pensa di incontrare per strada, quindi molto spontaneismo, operaismo e nuove teorie. Anche perché chi si presenta nelle vesti di ufficialità è o lo stalinismo vecchia maniera (URSS e i PC classici) o lo stalinismo nuova maniera dei “cinesi”.

Le reazioni dello Stato e l’epilogo dell’autunno caldo

A livello di:

  • repressione,
  • di gioco fascismo/antifascismo,
  • di strategia della tensione,
  • favorendo la dinamica terrorista,
  • recupero dei sindacati tramite i CdF

A livello di repressione

E’ l’arma classica della borghesia contro il proprio nemico di classe. Ma non è l’arma decisiva che le permette veramente di realizzare un rapporto di forza contro il proletariato. Tra l’ottobre 1969 e il gennaio 1970 ci sono oltre tredicimila denunce contro studenti e operai.

A livello del gioco fascismo/antifascismo

Questa è l’arma classica giocata contro il movimento studentesco, meno nei confronti della classe operaia, che consiste nel distrarre i movimenti in sterili scontri di strada tra bande rivali con il necessario appello, ad un certo punto, alle componenti cosiddette “democratiche e antifasciste” della borghesia. Insomma una maniera per ricondurre le pecore smarrite all’ovile!

A livello di strategia della tensione

Tutti ricordano la strage della Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana, che provocò 16 morti e 88 feriti. Ma non tutti sanno o ricordano che a partire dal 25 aprile ‘69 l’Italia è stata martoriata da una serie infinita di attentati: Fino al 1980 si sono verificati 12.690 attentati ed altri episodi di violenza ispirati da ragioni politiche, che hanno provocato 362 morti e 4.490 feriti.

L’obiettivo evidente di questa strategia era quella di spaventare e disorientare il più possibile la classe operaia, trasmettere il terrore delle bombe e dell’insicurezza, cosa che in parte riuscì. Ma ci fu anche un altro effetto, certamente più nefasto. Nella misura in cui con piazza Fontana si scoprì, almeno a livello di minoranze, che era lo Stato il vero nemico con cui fare i conti, una serie di componenti proletarie e studentesche virarono verso il terrorismo come metodo di lotta politica.

Favorendo la dinamica terrorista

La pratica del terrorismo è diventata così la maniera in cui una serie di compagni coraggiosi ma avventurosi hanno bruciato la loro esistenza e il loro impegno politico in una pratica che con la lotta di classe non ha nulla a che fare. Che anzi ha prodotto i peggiori risultati provocando un arretramento dell’intera classe operaia stretta dalla doppia minaccia della repressione dello Stato da una parte e del ricatto del mondo brigatista e terrorista dall’altra.

Recupero dei sindacati tramite i CdF

L’ultimo elemento, ma non certo per importanza, su cui ha puntato la borghesia in questo periodo è stato il sindacato. Non potendo più far conto sulla repressione per tenere a bada il proletariato, il padronato, che per tutti gli anni del dopoguerra fino alla vigilia dell’autunno aveva così fortemente osteggiato il sindacato, adesso si riscopre democratico e amante delle buone relazioni aziendali. Il trucco ovviamente è che, quello che non riesce a ottenere con le cattive, cerca di averlo con le buone, ricercando il dialogo con i sindacati considerati gli unici interlocutori in grado di controllare le lotte e le rivendicazioni operaie. Questo maggiore spazio democratico fornito ai sindacati, che si espliciterà con la diffusione dei Consigli di fabbrica, una forma di sindacalismo sviluppato dal basso e con una partecipazione non necessariamente di tesserati, dà agli operai l’illusione di essere stati loro ad aver realizzato questa conquista e di potersi fidare di queste nuove strutture per continuare la loro lotta. Come abbiamo visto infatti la lotta degli operai, sebbene spesso fortemente critica nei confronti del sindacato, non arriva che raramente a farne una critica radicale limitandosi a denunciarne le inconseguenze.

Per concludere …

Per concludere possiamo dire che l’autunno caldo è stato certamente un episodio di grande rilievo nella fase di ripresa della lotta di classe a livello internazionale. Una fase in cui, come abbiamo detto, la lotta della classe ha cambiato in maniera duratura i rapporti di forza, ha cambiato completamente la stessa aria che si respirava in fabbrica, ha realizzato tutta una serie di conquiste sul piano rivendicativo sia a livello salariale che delle condizioni di lavoro.

Poi la storia ci ha mostrato come la dinamica di lotta che il proletariato internazionale ha portato avanti, tra alti e bassi, per tutti gli anni successivi abbia subito un lungo e penoso periodo di stasi, anzi di rinculo vero e proprio in seguito all’offensiva che la borghesia ha potuto portare avanti grazie alla confusione generata dalla caduta del muro di Berlino.

Oggi che finalmente assistiamo alla nuova ripresa della lotta di classe a livello internazionale c’è da chiedersi: dopo 40 anni, cosa è cambiato nella lotta di classe? Stiamo meglio o stiamo peggio di 40 anni fa? Su questo piano ci sono molte differenze che si possono fare tra le due fasi, che si possono tutte riassumere in una frase: nel ‘68 si credeva di poter fare la rivoluzione, ma non se ne vedeva veramente la necessità di farla, mentre oggi si avverte precisamente la necessità di fare la rivoluzione, ma manca ancora nella classe la fiducia che possa avere la forza per poterla portare avanti.

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