Alitalia: la santa alleanza della borghesia porta alla sconfitta i lavoratori

Printer-friendly version

Sulla vicenda Alitalia sono tantissime le lezioni che possiamo trarre. E’ molto probabile, che Berlusconi con la “cordata italiana” abbia voluto fare un favore ai suoi amichetti (a buon rendere evidentemente), così come sembra vero che nel decreto sull’Alitalia si sia cercato di fare passare in maniera nascosta un altro favore per altri amici degli amici; è altrettanto vero che il piano contenuto nella proposta di acquisto fatta da Air France in marzo era migliore di quello definito Fenice, presentato dalla cordata italiana, proposta fatta fallire da Berlusconi sia per ragioni elettorali che per il secondo fine che c’era dietro il suo slogan di mantenere “l’italianità” della compagnia di bandiera. Tutto questo può evidentemente farci riflettere sul grado di corruzione della borghesia e sull’irresponsabilità anche dei governi, che dovrebbero fare l’interesse generale del capitale nazionale e non quello di singoli capitalisti o di qualche frazione politica. Queste osservazioni hanno sicuramente la loro importanza, ma le cose più importanti su cui soffermarsi relativamente alla vicenda Alitalia sono altre: da un lato il motivo reale del fallimento della compagnia, dall’altro il ruolo che i sindacati hanno giocato nel far passare le migliaia di licenziamenti con cui si è “salvata” l’Alitalia.

Già nell’articolo del numero 155 di questo giornale, aprile 2008, mettevamo in evidenza come la crisi dell’Alitalia fosse il risultato della crisi generale del capitalismo prima che dell’incapacità dei manager che l’hanno diretta negli ultimi decenni (cosa che pure c’è stata): “Il caso Alitalia è da diversi punti di vista estremamente indicativo della situazione attuale dell’economia e dei rapporti tra le classi:

- innanzitutto dimostra quanto sia precaria la situazione economica mondiale, per cui anche una grande azienda, sostenuta dallo Stato, può arrivare al fallimento. Nel capitalismo un’azienda, non importa di quale settore si occupi, può continuare a sopravvivere solo se è competitiva rispetto alle sue concorrenti. E quello del trasporto aereo è un settore che, negli ultimi decenni, ha visto un certo sviluppo di traffici, ma anche la nascita di tante nuove compagnie, in particolare le low cost, che ha creato grande concorrenza e grandi sconvolgimenti: quello che sta succedendo oggi all’Alitalia è già accaduto ad altri grandi compagnie del settore, come i colossi americani Delta Airlines e TWA, o le compagnie di bandiera Sabena, belga, e Swissair, svizzera, tutte ridimensionate e/o vendute. Deve essere quindi chiaro che l’Alitalia, dal punto di vista borghese, non può continuare ad andare avanti, e l’alternativa, sempre dal punto di vista borghese, è tra il piano di un compratore, tipo Air France, che assicura la sopravvivenza della compagnia, e il fallimento puro e semplice, che significa libri contabili in tribunale, commissariamento e smantellamento della compagnia (con la possibilità residua di un recupero di piccole parti dell’ex compagnia, come è avvenuto per Sabena e Swissair).”

Fallito, o fatto fallire il piano Air France, che comunque prevedeva tagli e licenziamenti, la situazione è andata sempre peggio, visto anche l’aumento vertiginoso del prezzo del carburante, per cui il fallimento è diventato una prospettiva reale. Insomma c’erano le condizioni apparenti per fare un taglio ancora più consistente di quello previsto nel piano Air France. A queste condizioni la famosa “cordata italiana”, già data per fatta da Berlusconi a marzo, si è potuta formare, visto peraltro i vantaggi che il governo era disposto a concederle (in primo luogo separare i debiti, lasciati a carico del vecchio azionista, cioè lo Stato, e offrendo ai compratori solo la parte buona dell’Alitalia). Ma anche così, anche con una nuova compagnia che partiva senza il fardello dei debiti di Alitalia, era difficile affrontare la concorrenza internazionale se non si procedeva a un robusto taglio del personale, dei salari e delle condizioni di lavoro di tutto il personale. Si è partiti così dalla provocazione di un contratto che tagliava del 25% i salari di tutte le categorie e riduceva a 12.500 gli effettivi della nuova compagnia (dagli attuali 19.798 fissi di Alitalia più Air One – cui bisognerebbe aggiungere i 3.362 lavoratori a tempo determinato) (Repubblica del 16/09/08), per chiudere con un taglio del 6-7% dei salari ed effettivi ridotti a… 12.500! (Repubblica del 28/09/08). E’ questa la grande vittoria a cui i sindacati hanno portato i lavoratori dell’Alitalia, e possono ben essere soddisfatti che oggi ci sono 10.700 posti di lavoro in meno e 12.500 “fortunati” lavoratori più sfruttati di prima!

Anche se si cerca di attribuire il fallimento di Alitalia ai manager che l’hanno gestita (i quali possono anche avere una parte di responsabilità e sicuramente sono stati ben pagati per questi risultati), il dato di fatto è che il sistema capitalista non funziona e a pagarne le spese sono sempre e solo i lavoratori (non dimentichiamo che oltre a quanto pagato dai lavoratori di Alitalia, c’è anche il miliardo e mezzo di euro del debito Alitalia che è stato risparmiato ai nuovi compratori e che sarà pagato dall’insieme dei lavoratori o con altre tasse o con tagli ai servizi sociali).

Per far passare quello che è, a tutt’oggi, uno dei più grossi piani di ristrutturazione mai visti in Italia, si è scatenata tutta la santa alleanza della borghesia: dai politici, di destra e sinistra, alla stampa, ai sindacati, che possono ben rivendicare il ruolo principale in questo sporco lavoro.

Tutti hanno potuto notare la drammatizzazione che della situazione dell’Alitalia è stata fatta da giornali e TV: “l’Alitalia perde cento milioni al mese”; “l’Alitalia non ha più soldi in cassa, nemmeno per pagare il carburante” (Repubblica del 14 settembre, per esempio, titolava “soldi finiti, da lunedì – 15 settembre – voli a rischio”), eppure oggi, un mese dopo, gli aerei Alitalia volano ancora!; “l’alternativa al piano Fenice è il fallimento puro e semplice, con il licenziamento di tutti i dipendenti”. E quanto veleno è stato riversato sui lavoratori: “privilegiati”, “piloti pagati meglio di quelli delle altre compagnie” (cosa per altro semplicemente falso, come mostrato dalle tabelle pubblicate su Repubblica del 16 settembre).

Tutto questo veleno, queste falsità, queste intimidazioni, avevano lo scopo da un lato di fiaccare la volontà di resistenza dei lavoratori Alitalia, dall’altro di evitare che intorno ad essi si potesse creare una simpatia e un movimento di solidarietà da parte di altri settori (si poteva mai solidarizzare con questi “privilegiati” e “velleitari” che volevano “l’impossibile”?).

Con l’appoggio di questa campagna mediatica, i politici si sono ben potuti sentire al sicuro nel cercare di convincere i lavoratori che non c’erano alternative al piano CAI, e che tanto valeva stringersi intorno ai nuovi padroni e accettare i loro progetti. E a conferma di quanto la borghesia riesce ad unirsi quanto si tratta di attaccare i lavoratori c’è il fatto che tutte le forze politiche presenti in Parlamento (quelle che insomma hanno maggiore impatto mediatico) hanno agito nella stessa direzione: Veltroni ci ha tenuto a rivendicare il suo ruolo di mediatore fra CGIL e CAI, invitando a cena per far riprendere il dialogo Colaninno, presidente della CAI, Epifani, segretario della CGIL, e Gianni Letta sottosegretario alla presidenza del consiglio; mediazione a seguito della quale la CGIL ha firmato l’accordo con la CAI.

Ma il ruolo principale è ben stato quello giocato dai sindacati che hanno fatto finta di voler strappare condizioni migliori nel nuovo contratto e in realtà hanno lavorato per tenere buoni i lavoratori e soprattutto per tenerli divisi, tra loro come dagli altri lavoratori. Riuscendo a mantenere in mano l’iniziativa, i sindacati hanno cominciato a cedere poco alla volta: prima CISL, UIL e UGL, poi la CGIL, che ha firmato dopo la rivendicata mediazione di Veltroni (e portando a casa qualche promessa di garanzie maggiori per il futuro dei precari), per arrivare infine ai sindacati degli assistenti di volo e dei piloti (la cui grande vittoria è stata avere altri 140 posti, a part time, contro gli 860 licenziamenti solo fra i piloti con contratto a tempo indeterminato). Come abbiamo visto dalle cifre riportate sopra (e tratte dai giornali borghesi), l’accordo finale è molto vicino a quanto voluto fin dall’inizio dalla CAI, per cui la farsa delle varie “rotture” è stata solo un momento di questa grande commedia messa in piedi.

E a questo sporco lavoro non si sono sottratti i sindacati di “base”, come la CUB trasporti, che durante lo sciopero di Fiumicino del 17 settembre dichiarava, attraverso i suoi coordinatori nazionali, Antonio Amoroso e Fabio Frati, di essere pronti “a rispondere con una lotta dura agli aut aut del governo, o a colpi di mano sul nostro futuro” (Repubblica del 18/09/08). Quanto siano stati conseguenti con queste dichiarazioni si è visto.

Eppure i lavoratori hanno mostrato a più riprese di essere disposti a lottare per difendere le loro condizioni di vita: a questo sciopero del CUB avevano partecipato 2.000 lavoratori, con mille di essi che a Fiumicino hanno organizzato un corteo e un blocco stradale; a più riprese ci sono stati cortei spontanei di lavoratori non in servizio; più volte i lavoratori si sono recati sotto i palazzi in cui si svolgevano le trattative per far sentire la loro pressione. Ed ancora i lavoratori hanno dimostrato quanto avevano riconosciuto il carattere sciacallesco dell’intervento della CAI, quando hanno esultato, in assemblea, alla notizia che la CAI aveva ritirato la sua offerta (anche questa una farsa che faceva parte della sceneggiatura).

L’errore, e la debolezza, di questi lavoratori è stato di lasciare questa loro volontà di lotta nelle mani dei sindacati, che, come abbiamo visto, hanno lavorato per tenerli divisi (tra loro e dagli altri lavoratori) per poterli indebolire, demoralizzare ed infine portarli alla sconfitta. CISL e UIL sono arrivati ad organizzare un corteo di un paio di centinaio di lavoratori (cioè una stretta minoranza dei loro stessi iscritti) in polemica con la mancata firma della CGIL (cioè una vera e propria azione di crumiraggio).

Ma questa sconfitta potrà comunque servire all’insieme dei lavoratori se se ne traggono le giuste lezioni:

- innanzitutto che è inutile illudersi sulla possibilità del capitalismo di evitare di attaccare i lavoratori per far fronte alla propria crisi storica (i 140.000 licenziamenti previsti nel solo settore scuola nei prossimi tre anni, e solo allo scopo di risparmiare 8 miliardi e mezzo di euro ne costituiscono una clamorosa conferma);

- che tutte le forze politiche sono unite nel difendere questa esigenza del capitalismo, per cui solo la lotta dei lavoratori può cercare di frenare questi attacchi;

- che questa lotta non può essere efficace se la sua gestione viene lasciata nelle mani dei sindacati (poco importa se di vertice o di base), e se ci si illude di poter lottare isolati per settori e categorie: tutti i lavoratori sono soggetti agli stessi attacchi e solo una lotta unita può costruire un rapporto di forza più favorevole nei confronti della borghesia.

Helios, 13/10/08

Geografiche: 

Situazione italiana: