Afghanistan. L’inferno capitalista è lastricato di cattive intenzioni

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Da otto anni, la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF), messa in piedi dagli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 per rispondere energicamente al “terrorismo internazionale”, imperversa in Afghanistan. Da otto anni, dopo la “grande vittoria” della democrazia dei primi mesi, abbiamo visto instaurarsi in questo paese e dintorni solo un inferno, ogni giorno più scottante. Sotto il titolo altisonante di Operation Enduring Freedom (Operazione Libertà Permanente), i 100.000 soldati di questa coalizione imperialista (oltre ai 200.000 e più soldati e poliziotti afgani) hanno già subito delle perdite che superano i 1200 morti, senza contare i feriti e gli invalidi a vita su cui i governi tacciono forzatamente. Tutto ciò senza contare i 2100 morti e più tra la popolazione civile, presa nella morsa tra il fuoco dei talebani, gli attentati dei membri di Al Qaeda ed i bombardamenti delle forze occidentali ed afgane (queste ultime secondo l’ONU sono responsabili di circa il 40% delle vittime civili). Così, a Kunduz, nel Nord del paese, 90 civili sono morti per i bombardamenti di cisterne di carburante da parte della coalizione all’inizio dello scorso settembre. Per non parlare delle popolazioni del Pakistan di cui si contano regolarmente morti a decine, addirittura a centinaia, e con la minaccia di morire ogni momento in un attentato terroristico. Infatti la prima “vittoria” di questa offensiva guerriera è quella di essere riuscita ad approfondire i solchi di un disordine crescente che non colpisce più solamente l’Afghanistan ma anche, con altrettanta forza, il vicino Pakistan.

Ancora una volta, come abbiamo già visto in Medio Oriente, in Iraq, nella ex Iugoslavia e in tanti altri posti del mondo, è necessario riaffermare che le velleità imperialiste, quali che siano le loro scuse “pacifiste”, “democratiche” o “anti-terroristiche” con le quali si portano avanti, non fanno che suonare la carica di un aggravamento delle tensioni guerriere con il loro seguito di morti e di popolazioni spinte nel terrore ed in una miseria indicibile. Per dare un’idea del reale interesse portato - facciamo il caso della Francia - nei riguardi della popolazione civile afgana che avrebbe dovuto contribuire a “liberare” dal terrorismo, bisogna sapere che sono assegnati 200 milioni di euro all’esercito contro soltanto 11 milioni per l’aiuto alla popolazione civile. Globalmente questo “salvataggio” del popolo afgano, che muore lentamente, costa militarmente 3,6 miliardi di dollari al mese. A Kabul, per esempio, mentre i signori della droga sfrecciano su auto 4x4 al fianco dei degni rappresentanti della democrazia occidentale, circa 50.000 bambini lavorano per le strade a lavare automobili, lucidare scarpe, raccogliere carte, bambini che soffrono per fame, malattie, maltrattamenti, violenze e schiavismo.

Le condizioni di vita si aggravano in tutto il paese. Nel Nord-est del paese, nel Badakhshan, una delle regioni al centro del traffico dell’oppio, uno studio dell’OMS considera che vi sono 6.500 decessi materni ogni 100.000 nascite, che è la percentuale più alta registrata a livello mondiale. Il 75% dei neonati superstiti muore a sua volta per mancanza di alimentazione, di assistenza e per il freddo. In più, mediamente, una donna incinta ha una probabilità su otto di morire ed è verosimile che più della metà di queste ultime non raggiungano l’età di sedici anni. Di tutto questo la borghesia ci parla poco, contrariamente a tutto il battage sulle elezioni presidenziali afgane. Il presidente Karzai, pupillo della coalizione, eletto a forza di grossolani intrallazzi e criticato a labbra socchiuse dagli stessi dirigenti occidentali, padrino notorio della droga, è il simbolo del cinismo di questi ultimi: come ha detto Kouchner[1], Karzai è effettivamente completamente corrotto, ma è il nostro uomo!

Il fiasco afgano

Malgrado il fallimento totale della missione militare degli Stati Uniti e dei loro alleati in Afghanistan, questi non cambiano politica. Il Pentagono del resto chiede altri 40.000 uomini, proprio per “avvicinarsi alla popolazione civile e dimostrarle che le forze straniere sono venute per lei, per darle un avvenire sicuro”. In attesa di realizzare questa illusoria prospettiva che appare sempre più lontana, Obama persegue la stessa politica guerriera del suo predecessore, proprio con la stessa giustificazione: ridimensionare Al Qaeda. Ora, secondo la confessione del consigliere per la sicurezza nazionale di Obama al Congresso, James Jones, “La presenza di Al Qaeda è molto ridotta. La valutazione di massima è inferiore a 100 attivi nel paese, nessuna base, nessuna capacità di lanciare attacchi contro di noi o i nostri alleati. Anche nel vicino Pakistan, i resti di Al Qaeda non sono quasi più visibili. Il Wall Street Journal segnala: “Cacciati dai droni[2] statunitensi, in preda a problemi di denaro e con crescenti difficoltà ad attirare i giovani arabi sulle montagne scure del Pakistan, Al Qaeda vede il suo ruolo rimpicciolire laggiù ed in Afghanistan, secondo i rapporti dell’Informazione e dei responsabili pakistani e statunitensi”.

Allora perché un tale accanimento visto che la minaccia che giustifica questa guerra non è più una realtà? Intanto perché gli alleati dell’America cominciano a scalciare sempre di più (lo stesso Sarkozy, benché non sia un pacifista, non vuole mandare un soldato di più) ed alcuni dichiarano apertamente che è una guerra persa in partenza. Il Primo ministro canadese, Stephen Harper, ha recentemente dichiarato alla CNN: “Noi non vinceremo questa guerra rimanendo semplicemente là. Non batteremo mai gli insorti”. La ragione principale per continuare quest’offensiva è in realtà il controllo strategico di questa regione che è vicina alla Cina, all’Iran e alla Russia, e ancora delle zone di importante traffico di materie prime, di una regione che guarda anche direttamente verso l’Africa. È dunque un obiettivo di primaria importanza per la prima potenza mondiale, i suoi alleati ed i suoi rivali. A tutti questi della sorte della popolazione e del suo benessere non importa proprio nulla, ma da tutti questi ci si può aspettare che progettino di restare ancora molto tempo, seminando sempre più desolazione e massacri.

Wilma, 21 novembre



[1] Ministro degli Affari esteri ed europei del governo francese.

[2] Piccoli aerei da ricognizione telecomandati.

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